Parte prima…
Volevo scrivere una cosa sull’artigianato come cultura prima che attività produttiva, ma… mi sono accorto che non si capirebbe nulla senza chiarire che cosa sono ‘cultura’ e patrimonio intangibile’. Niente paura, non è un saggio accademico: qui qualcosa si capisce.
Insomma che cos’è questo patrimonio intangibile che la convenzione di Faro e altre richiamano in continuazione da alcuni anni? Verrebbe da pensare a qualche astruso tipo di denaro ‘bancario’ (circa il 90% del denaro circolante), che i clienti truffati dalle banche venete hanno imparato a conoscere bene.
Invece si tratta di cultura in senso stretto. La cultura è infatti tutta intangibile e anche in gran parte inconsapevole. Sto parlando della cultura in senso antropologico ovviamente, non di quella che consiste nel sapere tante cose per essere colti, e nemmeno della cultura come intrattenimento-spettacolo buona per riempire qualche noiosa domenica pomeriggio, magari per sfuggire ad un clima familiare non proprio entusiasmante.
La più bella e chiara definizione di questa cosa ci arriva dal fulminante inizio di un famoso discorso di David Foster Wallace (quello di “La scopa del sistema”):
«Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?” e i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: “Che diavolo è l’acqua?”»
Il problema della cultura – e quindi del patrimonio intangibile – è appunto questo: si tratta di divenire consapevoli della nostra ‘acqua’. Cosa non facilissima. Si tratta di scegliere che cosa pensare, essere consapevoli è questo, essere ‘svegli’ direbbero i saggi orientali.
Prendiamo per esempio la Basilica di San Marco. Con tutte quelle pietre pesa molto, al punto che ha fatto sprofondare il terreno e ora finisce sott’acqua ad ogni minima alta marea. Più patrimonio materiale di così si muore, sembrerebbe. Invece no. Se prendete sul serio quanto detto poco fa è chiaro che si tratta di patrimonio immateriale. Sono i significati che le attribuiamo che formano il suo valore culturale. Per apprezzarla dobbiamo sapere che cosa significa ‘Basilica’, chi era San Marco, che cosa ha fatto di bello. Poi anche che cosa vuol dire ‘San? Che esiste una cosa chiamata ‘Religione cristiana’ e anche che cos’è ‘Religione’.
Insomma senza l’insieme dei significati che formano la nostra acqua-cultura la Basilica di San Marco al massimo ci apparirebbe come un curioso insieme di pietre colorate, buone magari per decorare il giardino di casa.
Una cosa del genere è già successa in Sardegna con i Nuraghi sparsi dappertutto. Prima che arrivassero gli archeologi a stabilire che erano cose di valore culturale, a sopratutto prima che arrivassero i turisti a stabilire che si trattava di cose con un valore economico, i Nuraghi erano ‘pietre’ e basta. E i pastori locali, gente pratica, occupata a sopravvivere in un ambiente difficile, le usavano per costruire i muretti a secco utili per delimitare i loro pascoli. Il bello è che ora anche quei muretti a secco sono diventati patrimonio intangibile in quanto testimonianza di civiltà passate.
I Nuraghi e la Basilica di san Marco hanno un’altra cosa in comune: sono il frutto di lavoro artigiano, non di dell’opera di architetti e ingegneri. Questa capacità artigianale non parte da un sapere di tipo scientifico-astratto che poi si trasforma in tecnica esecutiva. Il sapere artigiano è un sapere che incorpora la teoria nella pratica. Inoltre è tradizionalmente animato da un forte estetico, è un sapere con anima.
Sono precisamente queste sue caratteristiche che lo identificano come patrimonio culturale intangibile: fusione tra teoria e pratica, senso estetico, non-distruttività. É chiaro che questo sapere artigianale ha i suoi limiti: non sarà mai possibile costruire un’astronave in questo modo. Ma neppure una bomba atomica. Questi limiti non sono così stretti; si possono fare cose egregie con il sapere artigianale; cose come la Basilica di San Marco o gli acquedotti romani (che avevano meno perdite di quelli moderni). Questi limiti definiscono la sfere dell’umano-non-distruttivo. Con il sapere artigianale non è possibile distruggere l’intero pianeta e annientare la specie umana. Con il sapere tecnico-scientifico invece si, e ci stiamo provando.
Fine delle premesse. Continua..
Ne parleremo venerdi 15 pomeriggio all’Arsenale,
siete inviati tutti , ma dovere registrarvi.
Programma dettagliato e registrazione qui:
https://atena.eventbrite.it
AdV
perfettamente chiaro, oltre che condivisibile. se posso permettermi un esempio che sottopongo alla tua valutazione, anche la voga veneta, in quanto -soprattutto un tempo- cultura identitaria del vivere in laguna è un patrimonio intangibile.
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Ma certo che lo è. Anche la capacità di costruire barche , remi, vele e saperle utilizzare in laguna. Servono residenti stabili per questo. Proprio quelli che stimo perdendo alla velocità della luce (da un punto di vista demografico).
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