FAQ 1.10 – E’ vero che la Convenzione di Faro è priva di efficacia pratica?

Tra chi si occupa della CF, che siano organi politici, studiosi o figure professionali con competenze diverse sul patrimonio culturale, è diffusa la convinzione che la CF “al di là dell’impegno generale al rispetto del principio di effettività, non impon[ga] specifichi obblighi di azione per i Paesi firmatari, lasciando ad essi la libertà di decidere sui mezzi più convenienti per l’attuazione delle misure in esso previste” [v. Servizio Studi e Servizio delle Commissioni del Senato, Nota breve a cura di G. Polverieri, Ratifica ed esecuzione della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata a Faro il 27 ottobre 2005 (A.S. 2795), n. 165, maggio 2017].

In primo luogo, va distinto uno Stato firmatario da quello ratificante, essendo solo il secondo divenuto parte della Convenzione e con ciò chiamato a tradurre negli ordinamenti interni le disposizioni dettate dalla Convenzione. Anche per lo Stato solo firmatario già alla firma di un trattato internazionale seguono comunque alcuni effetti giuridici coerenti con il principio generale di diritto sulla conservazione dei valori. Lo Stato che ha apposto la firma può infatti anche decidere successivamente di non ratificare il trattato, ma non può rifuggire dal significato dell’atto compiuto, vale a dire di averne autenticato il testo e quindi il suo contenuto. E l’art. 18 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati pone in capo allo Stato firmatario l’obbligo di comportarsi in buona fede, in particolare astenendosi da atti che tanto sul piano interno quanto sul piano internazionale possano pregiudicare l’oggetto e lo scopo del trattato.

In secondo luogo, la flessibilità per gli Stati che discende dalla libertà di decidere sui mezzi più convenienti per l’attuazione delle misure previste in una Convenzione quadro, va ribadito, non caratterizza la natura giuridica degli impegni assunti, ma incide sulla fase di attuazione – ovvero la libertà di scelta dei tempi e dei modi – di realizzazione degli obblighi relativi che gli Stati assumono mediante la ratifica di convenzioni con una simile anima. Il lato oscuro del carattere flessibile di uno strumento convenzionale è ovviamente il rischio della inosservanza, da parte degli Stati che vi hanno aderito, degli impegni assunti con la ratifica, anche se questo è un rischio proprio di ogni accordo internazionale non supportato da un meccanismo di controllo (giurisdizionale e/o quasi-giurisdizionale) effettivo ed efficace.

Nel caso specifico, poi, la CF è una Convenzione-quadro atipica, diremmo una Convenzione quadro mista, perché a fianco d’una maggior parte di obblighi di risultato quelli rispetto ai quali opera la libertà di decidere i tempi e i mezzi di attuazione – essa pone alcuni obblighi di condotta (quindi più puntuali) per gli Stati ratificanti.

Si tratta anzitutto dell’obbligo degli Stati di assicurare che, nel contesto specifico del proprio ordinamento giuridico, “esistano le disposizioni legislative per l’esercizio del diritto al patrimonio culturale, come definito nell’articolo 4”[art. 5(c)] della Convenzione.

In secondo luogo, gli obblighi più puntuali riguardano gli impegni delle Parti della Convenzione in tema di controllo, ai sensi degli artt. 15 e 16 della CF. Con la ratifica infatti parte il monitoraggio da parte di un comitato apposito nominato dal Comitato dei ministri del CoE (l’attuale Steering Committee for Culture, Heritage and Landscape) sulla legislazione, le politiche e le pratiche riguardanti il patrimonio culturale attuate in Italia, che devono mantenersi coerenti con i principi stabiliti dalla CF. Gli Stati contraenti, inoltre, sono chiamati a promuovere attività multilaterali e transfrontaliere, e sviluppare reti per la cooperazione regionale al fine di attuare lo scopo e l’oggetto della Convenzione.

Ritornando alla previsione convenzionale dell’art.5(c), è doveroso chiedersi se essa definisca un diritto al patrimonio culturale con carattere giustiziabile, ossia la cui violazione possa essere fatta valere dinanzi a organi giurisdizionali. Una risposta inequivocabilmente negativa, ahimè, la detta l’art. 6(c) della CF ai sensi del quale “Nessuna disposizione della presente Convenzione potrà in alcun modo essere interpretata in modo da: … (c) creare diritti azionabili”.

Allora: se il diritto al patrimonio culturale significa affidare ai singoli e alle collettività (comunità patrimoniali, ma non solo) un “nuovo ruolo nelle attività di [sua] conoscenza, tutela, valorizzazione e fruizione”, che fare nel caso, per esempio, di messa all’asta da parte dello Stato di bene demaniale a favore di un offerente (probabilmente interessato solo a costruire un supermercato), laddove quel patrimonio immobile per anni è stato protetto e valorizzato da comunità patrimoniali locali? Ancora, se come detto (v. Nota breve sopra citata) la CF definisce gli obiettivi generali e “suggerisce possibilità di intervento da parte degli Stati firmatari (rectius ratificanti), in particolare in ordine alla promozione di un processo partecipativo di valorizzazione del patrimonio culturale”, la vendita di beni demaniali con valore di patrimonio culturale non rappresenta una condotta contraria all’impegno degli Stati di considerare i cittadini “non solo destinatari, ma attori della gestione del patrimonio culturale”?

Rimane così il problema “drammatico” della effettiva disponibilità di strumenti di protezione a fronte di queste violazioni. E se, come detto, il ricorso in giudizio è comunque escluso normativamente, non vanno sottovalutati altri strumenti legati alla sanzione sociale e a meccanismi di “denuncia”: magari innanzi a Commissioni appositamente istituite dallo Stato, o al già esistente coordinatore HEREIN esistente a livello di MiBACT, oltre che innanzi al Steering Committee for Culture, Heritage and Landscape, i.e. il Comitato di Monitoraggio del CoE ex art. 16 della CF.

Sugli spazi che a livello di ordinamento interno la legge che ordina l’esecuzione della Convenzione di Faro apre, si tornerà nell’ambito delle risposte della parte seconda delle FAQ.

Un pensiero su “FAQ 1.10 – E’ vero che la Convenzione di Faro è priva di efficacia pratica?

  1. Pingback: FAQ 2.7 – Cosa significa – in termini pratici – che la applicazione della Convenzione è da realizzare anche mediante la salvaguardia delle figure professionali coinvolte nel settore? | Faro Venezia

I commenti sono chiusi.