Con grande piacere ospitiamo qui alcune attività di diffusione del progetto Cantigos in Carrela del quale Faro Venezia è partner. La Sardegna è un sorta di miniera d’oro per chi si occupa della valorizzazione del patrimonio culturale tangibile e intangibile e ci sono innumerevoli iniziative delle quali poco si conosce di fuori dell’isola.
Un piccola nota linguistica è necessaria perché altrimenti alcune parti del testo che segue risulterebbero incomprensibili ai “continentali”.
Il Cantu a Cuncordu è un genere di canto corale simile al più noto Cantu a Tenore, da cui si discosta principalmente per una serie di differenze tecniche e per i repertori.
Cantigos in Carrela si può tradurre come “canti nelle vie” anche se in italiano perde tutte le sue forti connotazioni emotive.
C’è di più. Nel testo che segue si fa una interessante riflessione sulla natura della musica “sul palco” e “per strada”. Questo ha una portata generale perché riguarda molte situazioni nelle quali una pratica artistica tradizionale viene decontestualizzata, sterilizzata, e proposta come attrazione turistica, cioè “sul palco” diventando così inevitabilmente “fasulla”. Questo succede anche ad esempio per la Pizzica o Taranta in Puglia e Basilicata e ha dato origine a molte polemiche.
Di: Adriano Devita
Nell’isola di Sardegna dove le tradizioni musicali sono tra le più antiche e interessanti del mediterraneo, si distingue certamente Santu Lussurgiu, centro noto per il prezioso patrimonio del canto a Cuncordu, fra i più apprezzati della Regione. Ed è grazie alla passione dei Cuncordu Lussurzesu e dell’Associazione Culturale “Aidos”, che Santu Lussurgiu deve il successo di Cantigos in Carrela, manifestazione nata da un’idea dei cori di Florinas, Muros, Tempio Pausania e Pozzomaggiore. Giunta alla 26″ edizione, a Cantigos in Carrela hanno partecipato alternandosi, tantissime formazioni vocali proponendo i loro repertori; Cuncordos e Tenores in primis, ma anche cori e formazioni strumentali di diverse estrazioni culturali provenienti da altre realtà italiane e dall’estero si sono esibiti nelle diverse edizioni, dislocati in zone prescelte del suggestivo centro storico di Santu Lussurgiu, tra i meglio conservati in Sardegna. Gli spettatori durante la serata hanno la possibilità di seguire un percorso sonoro, a stretto contatto con gli esecutori, che riporta alla mente la festa così come era un tempo. Infatti, nel contesto di Cantigos in Carrela, c’è l’abbattimento del palco che normalmente rende (per definizione), spettacolo qualunque cosa passi sopra di esso, facendo diventare al tempo stesso estranei i fruitori della festa, costretti ad assistere invece che essere i fautori della festa stessa. La gente nei contesti tradizionali non assisteva alla festa in maniera passiva, la gente era la festa non semplicemente un pubblico. In questi ultimi anni ha prevalso l’idea che l’unica maniera di proporre e vivere le tradizioni sia possibile solo attraverso le esibizioni in palchi o televisioni locali, “spettacolarizzando” il tutto secondo un orientamento globalizzante, qui inteso nell’accezione più negativa del termine. Cantare in strada era per i Sardi cantare alle ragazze, era un seducente strumento per corteggiarle attraverso le serenate ma non solo, era anche l’occasione, per i novizi, di mettere in mostra le proprie qualità vocali e sperimentare le varie formazioni che si costituivano spontaneamente in un microcosmo nel quale cantare era uno dei pochi modi di fare musica. Naturalmente si è ben lontani dall’estinzione di un patrimonio che continua-mente da segnali di grande vitalità, come a Santu Lussurgiu, dove oltre ai vari Cuncordos riconosciuti, capita che formazioni anche estemporanee, si riuniscano occasionalmente, spesso in magasinu, per il solo piacere di cantare a Cuncordu. L’occasione per il pubblico in Cantigos in Carrela, è anche quella di vedere gli scorci tipici del centro storico, oltreché la possibilità di sentire i canti e le musiche a pochi centimetri dalla fonte sonora, gustando magari un buon bicchiere di vino, offerto agli ospiti Istranzos dai Iussurgesi, che “estendono” le proprie cantine in strada, secondo l’innato senso di ospitalità.