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Mappa delle Comunità Patrimoniali in Italia

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Comunità per il patrimonio im/materiale resiliente

Le CP sono l’obiettivo di tante associazioni culturali ed amministrazioni locali che in questi anni hanno prodotto occasioni per condividere e conoscere patrimoni complessi e straordinari, soprattutto attraverso centinaia di Passeggiate Patrimoniali (PP). Questo sito vuole creare una rete collaborativa, farcendo emergere e dialogare CP agli albori, altre già avviate, altre ancora più mature e strutturate in reti complesse.
Da anni il COE di Strasburgo lavora per l’implementazione della Convenzione di Faro (link), con alcune associazioni pioniere, come Faro Venezia (link). Assieme ad altre Comunità Patrimoniali sperimentali si è formato il think tank della Rete Faro Italia, sotto l’egida dell’ufficio in Italia del COE (link). Ora chi vuole può partecipare a questa piattaforma, interattiva e inclusiva, aperta ad ogni CP nazionale, seguendo le istruzioni riportate sotto.

Sito come regesto dinamico delle CP

La ricchezza dei patrimoni che necessitano una gestione culturale condivisa, come dei soggetti che si candidano a proporla, è connaturata nello straordinario policentrismo italiano. Le CP sono uno strumento, tanto complesso quanto efficace, per gestire questo processo. Il sito offre una piattaforma di scambio, conoscenza e partecipazione. Dove sono messi in evidenza gli eventi che ciascuna CP organizza nel breve, per favorire l’interazione spontanea e la cooperazione attiva.
Il sito promuove l’interazione trasversale tra i partecipanti. La Convenzione incoraggia l’azione corale, partecipata a tutti i livelli, che certo è più difficile dell’iniziativa individuale, ma dà maggiori garanzie di concretezza ed efficacia nella valorizzazione del patrimonio. Si tratta di un processo di cross-fertilization, dove le CP veterane ed esperte aiutano le altre, e tutte contribuiscono ad aumentare la consapevolezza collettiva.

Scheda Comunità Patrimoniale

La Convenzione di Faro per il «valore sociale del patrimonio culturale» è uno straordinario strumento per unire comunità e patrimoni. Tante Comunità Patrimoniali (CP) in Italia hanno avviato la loro attività di rete locale, una ricchezza unica in Europa. Le CP testimoniano l’avvio di processi virtuosi di valorizzazione e salvaguardia, condivisa e partecipata, con tutti coloro che hanno responsabilità e passione per il medesimo patrimonio. Il Consiglio d’Europa ha chiesto a Faro Venezia di consolidare la comunità di CP italiane, come prototipo di piattaforma nazionale, in collaborazione con l’ufficio del Consiglio d’Europa in Italia.

Comunità per il patrimonio im/materiale resiliente

Le CP sono l’obiettivo di tante associazioni culturali ed amministrazioni locali che in questi anni hanno prodotto occasioni per condividere e conoscere patrimoni complessi e straordinari, soprattutto attraverso centinaia di Passeggiate Patrimoniali (PP). Questo sito vuole creare una rete collaborativa, farcendo emergere e dialogare CP agli albori, altre già avviate, altre ancora più mature e strutturate in reti complesse.
Da anni il COE di Strasburgo lavora per l’implementazione della Convenzione di Faro (link), con alcune associazioni pioniere, come Faro Venezia (link). Assieme ad altre Comunità Patrimoniali sperimentali si è formato il think tank della Rete Faro Italia, sotto l’egida dell’ufficio in Italia del COE (link). Ora chi vuole può partecipare a questa piattaforma, interattiva e inclusiva, aperta ad ogni CP nazionale, seguendo le istruzioni riportate sotto.

Sito come registro dinamico delle CP

La ricchezza dei patrimoni che necessitano una gestione culturale condivisa, come dei soggetti che si candidano a proporla, è connaturata nello straordinario policentrismo italiano. Le CP sono uno strumento, tanto complesso quanto efficace, per gestire questo processo. Il sito offre una piattaforma di scambio, conoscenza e partecipazione. Dove sono messi in evidenza gli eventi che ciascuna CP organizza nel breve, per favorire l’interazione spontanea e la cooperazione attiva.
Il sito promuove l’interazione trasversale tra i partecipanti. La Convenzione incoraggia l’azione corale, partecipata a tutti i livelli, che certo è più difficile dell’iniziativa individuale, ma dà maggiori garanzie di concretezza ed efficacia nella valorizzazione del patrimonio. Si tratta di un processo di cross-fertilization, dove le CP veterane ed esperte aiutano le altre, e tutte contribuiscono ad aumentare la consapevolezza collettiva.

Scheda Comunità Patrimoniale

Ciascuna CP è un meccanismo unico, ma ha degli ingranaggi comuni a tutte le altre, che occorre evidenziare per aiutare a compiere un processo integrato e partecipato: per essere tutti assieme più efficaci ed inclusivi. Infatti tutte le nuove CP possono richiedere a Faro Venezia l’accesso al form, da compilare on line con tutti i dati che le contraddistinguono, seguendo le istruzioni indicate:

1 – template con la spiegazione delle voci da compilare.

2 – scheda compilata come esempio.

Per informazioni ed iscrizioni scrivere a:
info@faroitaliaplatform.it

Una caserma come cosa buona da pensare

PEPE 8

Pubblico qualche foto della caserma Pepe, al Lido di Venezia, inattiva da alcuni anni.
Lo stato di vergognoso abbandono in cui si trova la caserma Pepe è ben documentato dalle foto scattate pochi giorni fa e qui non intendo discutere difficili piani di recupero o lamentarmi dell’indifferenza delle istituzioni. Questa visita è stata piuttosto una buona occasione per chiarire che cosa si intende per “patrimonio” e “valorizzazione” riprendendo alcune idee di base che animano la Convenzione di Faro.

Tutte le foto su FLICKR in grande formato
L’architettura della caserma è, con ogni evidenza, quella di una istituzione totale come un carcere, un manicomio, molti collegi e luoghi simili. Un mondo chiuso in cui la vita delle persone regolata da norme interne dalle quali non si può sgarrare.

A chi sa che cos’è viene subito in mente il Panopticon. Questa era è una struttura carceraria “ideale” progettata nel 1791 dal filosofo, giurista e industriale Jeremy Bentham. Lo scopo era di rendere completamente controllabili a vista i detenuti attraverso una postazione centrale. Le celle dovevano essere disposte in cerchio attorno a questa postazione permettendo ai guardiani (coloro che guardano) di osservare senza impedimenti i detenuti in ogni momento della loro giornata.

Ma questa caserma è diversa da un Panopticon. Al centro si trova un bellissimo pozzo e non una postazione di controllo. Qui si respira aria di controllo diffuso, di una assoluta mancanza di vita privata e individuale. Tutti vedono e controllano tutti. In un carcere ci si va per forza, ci si è rinchiusi con la forza. In corpo militare di élite invece chi si va volontariamente e ci si sta con orgoglio. Non si è imprigionati, si appartiene e si appartiene per sempre, anche dopo il ritorno alla vita civile, perché quell’esperienza è intensa e provoca un cambiamento della personalità permanente.

Per sviluppare il senso di appartenenza la normale organizzazione gerarchica degli eserciti e le regole disciplinari esplicite non bastano. Bisogna intervenire sull’intera personalità delle reclute modificandola profondamente. Le comunità forti infatti si basano su una parziale rinuncia delle personalità individuali a favore di una personalità collettiva. Quanto più una comunità è “forte” tanto più radicale deve essere questa rinuncia alla propria personalità individuale. É per questo che quando si entra in un convento – tipica comunità forte – al novizio viene chiesto per prima cosa di rinunciare ai propri abiti civili e anche al suo stesso nome.

Poi serve un periodo di addestramento. Non uso la parola “educazione” che in una società democratica significa tutt’altro e sostanzialmente il contrario. Basta camminare pochi minuti per i corridoi vuoti della caserma per capire di essere immersi in un formidabile dispositivo simbolico. Le grandi scritte sui muri sono ossessivamente presenti e ribadiscono ad ogni ora del giorno i concetti chiave che formano l’identità collettiva del gruppo.

La vita chiusa rispetto al mondo di fuori ma completamente pubblica rispetto al mondo di dentro. Il dispositivo linguistico fatto di pensieri già pensati e l’intensa e organizzata attività fisica, istituiscono un mondo psichico ed emotivo che plasma le personalità in modo profondo. Si parla infatti di “corpi” militari che spesso sono “speciali” se sono dotati di “spirito di corpo”. Con questo si intende. A differenza degli sport professionali, nei quali lo sviluppo di capacità fisiche speciali è inserito in contesto di competizione individuale, l’identità di questi corpi è anche fisicamente collettiva.

L’unica scritta non istituzionale che ho trovato su muri di una stanza testimonia chiaramente la consapevolezza e l’apprezzamento per questa identità collettiva forte: “Una volta dei nostri, sempre dei nostri”.

Valorizzare, fare cultura

Allora in che senso il patrimonio “fisico” ha un valore culturale? Spesso ci si limita a riepilogarne la storia, l’anno di costruzione, la trasformazioni, gli utilizzi e poco altro. Un vuoto nozionismo tipico della scuola di due secoli fa. Ma spostare l’attenzione dalle cose alle persone significa invece evidenziare i mutamenti dei significati e delle forme di vita sociale che hanno accompagnato una particolare strutturazione del territorio. Solo così le pietre cessano di essere cose buone da usare per diventare cose buone da pensare.

Se un eventuale recupero della caserma abbandonata dovesse cancellare le scritte sui muri con una buona mano di bianco, la possibilità di cogliere i molteplici significato che quel luogo testimonia scomparirebbe.

Farne un luogo di piacevole vita civile, alloggi per studenti, laboratori per artigiani è certo un buon modo per evitarne la rovina e trasformare un luogo di guerra in uno di pace ci attira. Però qualche foto ricordo bene incorniciata non basta a preservarne il valore. L’esperienza fisica del luogo è inestricabile da quella simbolica. É per questo che portare gli studenti ad Auschwitz è profondamente diverso dal raccontarne la storia in una comoda aula scolastica e che incontrate un testimone diretto è diverso da leggerne la storia in un libro. Separare la mente dalle emozioni e le emozioni dal corpo, come ci ha abituati a fare la nostra cultura idealistica – è distruttivo e rende la “cultura” inutile.

Storia della caserma in sintesi
La caserma Guglielmo Pepe fu costruita tra il 1591 al 1595, come sede delle delle Truppe Anfibie, meglio note come “Lagunari” e rimase in attività fino al 18 maggio 1999 quando il Comando del Reggimento e due Compagnie furono trasferite a Mestre.
Il Reggimento Lagunari “Serenissima” è l’unico reparto di fanteria da assalto anfibio dell’Esercito Italiano. Sono gli eredi diretti dei “Fanti da Mar” della Serenissima il cui primo nucleo fu istituito dal Doge Enrico Dandolo nel 1202. dal 2007 fanno parte della unità interforze Forza di proiezione dal mare con la Brigata marina “San Marco” comunemente nota come “Marò”.

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