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SAVERIO PASTOR VENEZIANO DELL’ANNO 2023

Pubblico qui integralmente il discorso di ringraziamento di Saverio Pastor, decano dei Rèmeri veneziani e antico sostenitore dei principi della Convenzione di Faro. Saverio Pastor è stato nominato veneziano dell’anno per il 2023. Può darsi che i non-veneziani non sappiano esattamente che cos’è un Felze o quali sono i mestieri artigiani che vi ruotano attorno. Se non lo sapete vi consiglio vivamente di visitare il sito della loro associazione: https://www.elfelze.it/

NON NOBIS DOMINE, NON NOBIS.

Quando amichevolmente mi dissero che la scelta del veneziano dell’anno era caduta su di me, ho avuto l’istinto di alzarmi e andarmene. Ben altre personalità vedo più adatte: sensibilità più raffinate, cultura eccelsa, abilità più ardite. Poi, leggendo meglio le motivazioni, mi son detto che finalmente si presentava l’occasione per ringraziare tutti i remèri e tutti gli artigiani, passati presenti e futuri. In effetti, diciamolo, sono stati bravi, siamo stati bravi.

È forse giunto il momento di riconoscere che il lavoro dei remèri è stato essenziale per la nascita stessa della città e poi per la sua crescita come potenza economica, commerciale e militare; è ora di ringraziare i misteriosi proto-remèri che costruirono quei remeggi necessari ad esplorare e colonizzare quella laguna ancora disabitata. E ricordiamo quindi le migliaia di remèri che hanno reso possibile la nascita e la vita della città col loro lavoro, modesto ma strategico, faticoso ma essenziale.

È ora di ricordare Artico Massario con bottega nell’attuale Campiello del remèr: è il primo remèr di cui si abbia conoscenza scritta, su un contratto di esattamente 800 anni fa, per la realizzazione di 1.000 remi in frassino per l’Arsenale.

Vanno salutati quegli ignoti Maestri che nel 1307 presentarono il testo della mariegola dell’arte da far finalmente approvare dai preposti 3 Giustizieri vecchi.

E salutiamo con affetto quei volti ormai noti dell’insegna dell’arte dei remèri, commissionata nel 1517 da Maistro Nicholò de Marcho Marchovichio dito de Andronicho, gastaldo de l’Arte de remeri et i suoi compagni, con il garzone al centro, con il catalogo delle tipologie di remi e delle lavorazioni e con due forcolette relegate al margine.

Anche senza la corporazione, soppressa da Napoleone, anche sotto il dominio francese e poi austriaco, anche nella più profonda crisi economica seguita alla caduta della Repubblica, i remèri hanno continuato a rifornire le barche e la città degli essenziali remi e forcole.

La vera crisi è ovviamente arrivata con la motorizzazione generalizzata avvenuta tra gli anni 50 e 60. In quel frangente quanto bravo è stato il mio, il nostro Maestro, Bepi Carli, con Gino Fossetta, a salvare la sua bottega e il nostro mestiere? Lo ha fatto con gesto semplice, ma geniale, per certi versi rivoluzionario in quel contesto; ha tolto la forcola dalla barca e l’ha messa su di un piedistallo facendola diventare altro, un oggetto plastico e simbolico apprezzato in tutto il mondo per le qualità che lo connotano, tra funzionalità sofisticata e bellezza scultorea.

Ed è giusto ringraziare noi attuali remèri, siamo 5 maestri in 4 botteghe, io sono il più anziano e con me da quasi 20 anni lavora il più giovane, Pietro Meneghini, mentre Paolo Brandolisio, Franco Furlanetto (già mio allievo) e Piero Dri presidiano la città dalle loro 3 botteghe. Li ringrazio per come affrontano, assieme a tutti gli altri artigiani, l’attuale grave crisi che attanaglia la città, crisi demografica, antropologica e sociale, che con il precipitare del numero di abitanti vede diminuire ben di più il numero di persone che vanno in barca, a remi.

Per combatterla, nel 2002, abbiamo immaginato che fosse necessario fare rete. Con gli altri artieri de gondole et suoi fornimenti abbiamo inventato l’associazione El Felze, per contarci, per contare e per raccontare chi siamo e cosa facciamo. Purtroppo, a contarci ci mettiamo sempre meno perché abbiamo perso molti colleghi, anche grandi Maestri, di cui sentiamo già la gran mancanza -ciao cari-.

I maestri artigiani di El Felze


All’inizio abbiamo contato parecchio anche per il territorio Veneto e le Istituzioni che lo governavano, ed abbiamo vicendevolmente collaborato ad importanti iniziative anche all’estero, mentre ora evidentemente altri problemi attanagliano le Amministrazioni. Invece siamo diventati piuttosto bravi a raccontare anche grazie a chi di comunicazione e grafica se ne intende.

Nel frattempo, grazie a quello che chiamo il nostro corpo accademico, di cui la professoressa Elisa Bellato fa parte, abbiamo imparato anche a conoscere la Convenzione UNESCO del 2003 sulla Promozione e Protezione del Patrimonio Immateriale e quella del Consiglio d’Europa del 2005, stipulata a Faro, che spinge la collettività a rendersi consapevole fruitrice dei propri patrimoni e a farsi comunità patrimoniale. Per queste convenzioni noi artigiani, saremmo dei “portatori sani” di patrimoni culturali ed essere artigiani oggi vuol dire anche questo: farsi carico di un ruolo sociale e culturale.

Ringrazio quindi tutti i colleghi de El Felze per aver creduto in questa sfida e per il lavoro considerevole per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale immateriale che è stato addirittura premiato dalla città coreana di Jeonju.

Anche per questo abbiamo lanciato el disnar per la regata storica: occasione di incontro e di convivialità tra cittadini, e ringrazio le centinaia di persone di decine di associazioni, della città e del litorale, che hanno voluto credere in questa proposta. Perché promuovere la voga, le regate, la cantieristica è indispensabile alla nostra specificità anfibia.

Perciò questo è un riconoscimento a tutti gli artigiani, ma anche a tutti coloro che della città fanno sopravvivere i suoi aspetti essenziali: gondolieri, regatanti, piccoli commercianti. Insomma a tutti i veneziani che vivono sotto al motto di resistere, resistere, resistere!

Ovviamente non parlo più solo di noi della gondola, di noi della filiera lunga della cantieristica, ma parlo di tutto l’artigianato veneziano perché Venezia è stata capitale delle manifatture e di queste ancora permane qualche buon lacerto.

Resistiamo ad un mercato immobiliare impazzito, alla cultura dell’happy hour che porta alla sostituzione delle botteghe con gli ennesimi baretti, alla gran festa del turismo di massa e dell’airB&B che scaccia i nostri clienti d’elezione lasciando vuote e sterili cassettine con numeri segreti, resistiamo alla legge del prodotto seriale e all’omologazione. Ma la nostra città non è omologabile senza la sua morte.

Ringraziamo anche le nostre Amministrazioni, a tutti i livelli, che da oggi si impegneranno veramente con maggior decisione e con la collaborazione delle associazioni del territorio:

  • nell’inversione della tendenza all’esodo dalla nostra città,
  • nell’investire seriamente in progetti volti a riaffermare la specificità anfibia della nostra civiltà, nell’educazione dei giovani assieme alle società remiere;
  • di investire nella rappacificazione con le acque e quindi
  • in una mobilità per quanto possibile moderna ma realmente sostenibile, rispettosa e razionale;
  • di spendersi e spendere per far di Venezia quantomeno un centro nevralgico e vitale, non solo espositivo, delle arti applicate e dell’artigianato tipico e tradizionale: un polo di rilevanza Europea dove le arti si riconoscano e si confrontino;
  • di offrire altre nuove ricche opportunità all’uso dell’Arsenale.
  • di farsi volano perché si coagulino delle comunità patrimoniali attorno ai beni di cui ancora possiamo beneficiare e di cui dobbiamo esser orgogliosi, spingendo verso nuove candidature a Patrimoni dell’umanità: dalle perlère al vetro, dai mestieri della gondola al mestiere del gondoliere, dalla voga alla veneta alle regate, dalla tessitoria al merletto, dai mestieri del restauro monumentale a quelli delle manutenzioni;

Ovviamente ho molti ringraziamenti più personali da fare.

Ringrazio quindi Bepi e Gino da cui ho imparato il mestiere. E ringrazio chi mi ha accompagnato in questo apprendimento che dura tuttora: Vittorio Marcoleoni e tutti gli amici della Spazio Legno.

Ringrazio la Regione del Veneto per avermi attribuito il titolo di Maestro Artigiano e la Fondazione Cologni per avermi riconosciuto quello di Maestro d’Arte e Mestiere. Mi hanno offerto così lo stimolo a realizzare un progetto che da anni giaceva in un cassetto: a ottobre farò una mostra a Parigi dove trasformerò una galleria in laboratorio, dove lavorerò e dove racconterò il ruolo di questo mestiere nella nostra cultura. Una nuova avventura, personale, per la quale cerco sostegni e sponsor, che spero possa far parlare di Patrimonio Culturale Immateriale.

Ringrazio quindi questo Comitato Veneziano dell’anno perché mi dà un’ulteriore investitura di ambasciatore, di portavoce riconosciuto da questa comunità.

Ringrazio, oltre ai remeri, i colleghi che hanno dato vita a el Felze Giuliana Longo, Elisabetta Mason, Ermanno Ervas, Roberto Tramontin, Marzio De Min, Emilio Ballarin, lo studio Scibilia, Gianfranco Munerotto e Adrian Smith che hanno dato una fondamentale mano nella comunicazione; così come i nostri amici suggeritori Simona Pinton, Clara Peranetti, Lauso Zagato e Adriano De Vita, oltre ad Elisa Bellato.

E un pensiero va alla mia famiglia di origine: a Valeriano, a Michelina e a mia sorella Barbara che hanno sempre avuto un approccio alla loro professione di architetti come fosse un mestiere artigiano, dove si progetta, si disegna, si realizza con dedizione, controllando i dettagli, ricercando la migliore funzionalità senza rinunciare al buon risultato estetico. E poi l’imprinting non è stato banale con le frequentazioni delle botteghe dei migliori artigiani, per visite e sopralluoghi.

E quindi il ringraziamento va poi alla famiglia costruita con Agnese, che vede in Tiziano e Giacomo i nostri meravigliosi tesori.

E infine quella che è la mia seconda casa, la bottega, dove appunto Piero ha un ruolo sempre più da protagonista mentre Enrica Berti e Fabiana Ceccarelli cercano di integrare le grosse smagliature amministrative assieme agli amici della CNA. E certamente ringrazio tutti i fornitori, trasportatori e collaboratori che ci permettono di portare a termine il nostro lavoro di remèri del terzo millennio.

Grazie a tutti

C’è un giudice a Berlino! Le pesanti accuse del TAR all’Agenzia del Demanio di Venezia sul caso Poveglia

Lo scorso 8 marzo 2018 il Tribunale Amministrativo ha accolto il ricorso dell’ Associazione Poveglia per Tutti contro l’Agenzia del Demanio di Venezia che aveva respinto la loro richiesta di prendersi cura dell’isola, con fondi propri, e per un periodo limitato di tempo. La storia dell’Associazione è ormai lunga e molto significativa sul tema di come può formarsi una comunità patrimoniale forte e molto motivata. Non riassumo qui questa storia. Chi non la conosce può seguire i links a fondo pagina che la ricostruiscono in breve.

La cosa rilevante qui non è tanto il fatto di avere vinto un ricorso, cosa che capta molto spesso alle associazioni civiche; sono le motivazioni della sentenza ad essere clamorose. In pratica il TAR accusa l’Agenzia del Demanio di ogni nefandezza possibile e immaginabile.

La sentenza originale completa si può leggere qui.

Le motivazioni

Riassumo qui in punti salienti delle motivazioni della sentenza in basic italian in modo che sia tutto più chiaro. Secondo il TAR il rifiuto del Demanio:

  • É privo di motivazione, non indicando alcun presupposto di fatto ed alcuna ragione giuridica che abbia determinato il diniego di concessione.
  • Nasconde i motivi del rifiuto.
  • Rivela un eccesso di potere perchè la domanda è respinta in base a motivazioni del tutto estranee al merito della domanda nstessa.
  • Rivela un eccesso di potere (di nuovo) perché il rifiuto richiama la necessità di sentire il parere del sindaco, cosa del tutto falsa.
  • Rivela un eccesso di potere, (ancòra) perché il Demanio ha posto sulle stesso piano la richiesta dell’Associazione- realmente esistente dettagliata e motivata – con altre generiche “manifestazioni di interesse” provenienti da altri soggetti, sostanzialmente inesistenti.
  • Dimostra irragionevolezza e manifesta contraddittorietà del diniego. L’agenzia infatti rinuncerebbe ad ottenere dalla ricorrete opere e attività rientranti tra i suoi compiti di legge. Che non ha mai realizzato.
  • Dimostra la volontà di perdere tempo, tirala in lungo deliberatamente, per (“mera presa di tempo da parte della P.A., con un atto sostanzialmente soprassessorio”).

Il rifiuto del Demanio contrasta inoltre con il regolamento per la concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato  (art. 9 del d.P.R. n. 296/2005) dove si stabilisce che “possono essere oggetto di concessione ovvero di locazione, in favore dei soggetti di cui agli articoli 10 e 11, rispettivamente a titolo gratuito ovvero a canone agevolato, per finalità di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale, gli immobili di cui all’articolo 1, gestiti dall’Agenzia del demanio”.

Si tratta di motivazioni pesantissime, che distruggono completamente la credibilità dell’Agenzia del Demanio, che – ricordiamolo– è una agenzia dello stato che amministra beni pubblici, cioè appartenenti a tutti noi e lo deve fare per nostro conto , non contro di noi.

L’Agenzia ha dimostrato, come minimo, di non avere le capacità professionali adeguate al compiuto che deve svolgere. Ma ha dimostrato anche un atteggiamento apertamente ostile e vessatorio (l’eccesso di potere) verso quei cittadini che – in ultima istanza – sono i suoi datori di lavoro.

Va notato che l’Agenzia è un “Ente Pubblico Economico (EPE). L’EPE è un soggetto giuridico autonomo che opera nell’ambito della Pubblica Amministrazione e che, per raggiungere i propri obiettivi, fa ricorso a modalità organizzative e strumenti operativi di tipo privatistico.”
Dunque se la sua organizzazione è di tipo privatistico, si può supporre che i dirigenti che si sono resi responsabili di una simile sequenza di errori e prepotenze se ne assumano la responsabilità e ne paghino le conseguenze.

O è pretendere troppo?

Links

Poveglia: l’isola che c’è
un breve post con due nostri video girati nell’aprile del 2014, quando la storia di della comunità patrimoniale di Poveglia era era appena iniziata. Uno è questo, che mostra l’ evidente entusiasmo che l’inziativa ha suscitato:

La storia dell’Associazione Poveglia per Tutti

‘Non svendete Poveglia’: il Tar dà ragione all’associazione che vuole proteggere l’isola”
Articolo su L’Espresso che riassume il caso.

Il TAR da regione ai 4550 veneziani del mondo
Articolo dell’ Associazione che commenta la sentenza del TAR

Nota
L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino?” aderiva dalla storia di un mugnaio di Postdan e dei sua moglie Rosina contro tutti i corrotti giudici per ottenere giustizia. E alla fine ci riesce. Leggi qui tutta la storia

La cacciata dell’artigianato dai centri storici: che fare?

Da tempo si levano lamenti sulla cacciata dai centri storici della nostre città dell’artigianato d’arte, storico, legato all’heritage dei luoghi. Un tema molto sentito a Venezia, che centro storico non è, ma città d’acqua e potrebbe essere anche città del futuro, se i politici – e chi li elegge – volessero.

Ma i lamenti e la solidarietà a parole non bastano e il tempo stringe. Ogni giorno che passa scopre un artigiano e arriva una bottega di di paccottaglia “tutto a un euro” alimentate da un distruttivo turismo di massa che non conosce limiti.

Teniamo ben presente che viviamo in una società iper-liberista. Questo vuol dire che se un’azienda funziona bene, se no che chiuda. Vuol dire anche che si vuole evitare la scomparsa di certi tipi di artigianato perché hanno un valore storico, culturale, sociale, educativo ed estetico è necessario un intervento pubblico anti-mercato. Non mi pare che esita una chiara consapevolezza diffusa su questo punto, ma senza di essa non resta che lamentarsi a vuoto.

Ma c’è che prova ad auto-organizzarsi e ad avanzare proposte concrete. Non vuol dire che qualcuno le ascolti, non ancora, ma comunque ci sono. Ecco allora questi due video.

Nel primo si vede racconta che cos’è El Felze,l’Associazione veneziana dei mestieri che ruotano attorno alla Gondola.

Nel secondo El Felze illustra le sue proposte, che si sono sviluppare in primo luogo sulla situazione dei suoi soci, ma che hanno un valore molto più ampio e riguardano tutti gli artigiani di un certo tipo.

Gli artigiani della gondola

Tra i non-veneziani pochi si rendono conto che il sistema-gondola è una piccola industria che occupa più di 600 persone, in prevalenza gondolieri e sostituti. Tra questi ci sono gli artigiani che la costruiscono, decorano, mantengono. Ci sono 11 specializzazioni artigiane che lavorano sulla gondola, generalmente in modo non esclusivo.

Saverio Pastor, presidente di El Felze ha colto l’occasione del seminario di avvio del progetto ATENA per fare il punto sullo stato di salute di questi mestieri. Si tratta di una sintesi pubblica, forse unica, aggiornata al settembre 2017, che ha valore anche per tutti gli altri mestieri artigiani attivi nella città d’acqua, che vivono problematiche molto simili.

Ecco i mestieri della gondola:

Squearòli
(ostruiscono le gondole e altre imbarcazioni)
Remèri
(fabbricano i remi e le forcole)
Intagliadòri
(intagliano nel legno i fregi decorativi)
Fravi
(fabbri che forgiano le parti metalliche)
Fondidòri
(fanno fusioni su stampo)
Battilòro
fabbricano la foglia d’oro per i fregi)
Doradòri
(applicano la foglia d’oro sui fregi)
Tapessièri
(realizzano le tapezzerie, a volte preziose)
Bartèri
(fabbricano i tipici berretti da gondoliere)
Sartòri
(sarti che fabbricano le divise dei gondolieri)
Caleghéri
(calzolai che fabbricano la calzature tipiche dei gondolieri)

Le proposte di El Felze

Non vogliamo finanziamenti a pioggia o aiuti particolari ma poter lavorare testimoniando quanto ereditato dai nostri antesignani; se noi siamo portatori di Patrimoni culturali e questi sono patrimoni collettivi dovrebbe essere la collettività ad assumersene, almeno in parte, la responsabilità.

Per il futuro anche delle nostre aziende sembra ora necessario un marketing endogeno fatto di management, aggiornamento mediante l’approccio alle nuove tecnologie e un salutare passaggio generazionale. Tutto ciò non ci risulta semplice e così tentenniamo tra le sicurezze della tradizione e una curiosità verso un futuro affascinante ma incerto. Uscire da soli da questo dilemma sembra impossibile. Se però parliamo di PCI quale ruolo ha la società? La comunità patrimoniale? La politica? La P.A.? Il Consiglio d’Europa e l’Europa stessa? Quale può essere il marketing esogeno che ci aiuti a trovare le soluzioni operative praticabili che ricerchiamo?

Come Comunità Patrimoniale dovremmo pensare alla Valorizzazione dei nostri mestieri per far conoscere il nostro patrimonio; al Sostegno dei nostri “portatori di PCI” (gli Artigiani), perché essi contribuiscono a migliorare la società testimoniando pensieri, saperi, creatività e manualità; alla creazione di un Ambiente socioeconomico accogliente per le nostre imprese.

1) Per la valorizzazione si può immaginare di:
– arrivare finalmente alla candidatura dei mestieri della gondola nella lista UNESCO per il PCI (Patrimonio Culturale Intangibile)
– estendere il Marchio della Cantieristica tradizionale anche alle imprese dell’indotto;
– creare un marchio specifico per la gondola, con disciplinari appositi;
– creare una rete del PCI veneziano tra Cantieristica/Restauro/Tessitoria/Scuole Grandi
– migliorare il sistema museale veneziano2;

2) Varie le forme di sostegno che possiamo immaginare:
Finanziamento:
– ancora della legge regionale 1/96 come incentivo all’acquisto di barche e accessori;
– per adeguamento sedi;
– per aggiornamenti specifici anche di nuove tecnologie;
– di nuovi progetti di ricostruzione filologica di imbarcazioni e di archeologia sperimentale;

Nuova normativa per assegnazione lavori:
– con gare non più al ribasso ma almeno con media mediata;
– ipotizzare assegnazione di punteggi legati al valore PCI;
– scelta delle P.A. verso prodotti della nostra tradizione;

Sostegno alla formazione non con scuole ma consentendo il lavoro:
– deroghe per normative fuori scala per le piccole imprese nei centri storici;
– sgravi per le ditte che assumono e che dedicano tempo alla formazione degli apprendisti.

3) L’ambiente che immaginiamo prevede:
un Centro Storico che ritorni il centro commerciale e produttivo;
un mercato immobiliare mitigato da:
– contributi per gli affitti
– blocco degli sfratti
– blocco cambi destinazione d’uso da artigianato ad altro
– acconsentire cambi di destinazione d’uso che riporti gli artigiani in centro

Queste sono le nostre proposte operative e possono essere allargate anche ad altri settori dell’artigianato. Non sono novità ma fa sempre bene ricordare quanto da anni molti di noi chiedono.

Tutti video del progetto ATENA  sugli artigiani di Venezia

ATENA: Artigianato e comunità locali

Gruppo di lavoro sul tema: la comunità.
Come le comunità locali percepiscono il patrimonio culturale intangibile e materiale.

Ogni bottega artigiana è al centro di un ricco sistema di relazioni con la comunità locale che la circonda.

Questi rapporti sono parte integrante di quello che viene percepito come patrimonio intangibile e che va molto oltre la concezione della bottega come semplice operatore economico.

Il gruppo di lavoro ha evidenziato le condizioni particolari del lavoro in una città in cui ogni cosa viene fatta sull’acqua; il fatto che il lavoro artigiano, per svilupparsi al meglio richiede buone condizioni per la residenza sia degli artigiani che dei loro clienti e un ambiente normativo favorevole. Condizioni queste che oggi a Venezia sostanzialmente sono in continuo peggioramento.

Ma sono emerse altre considerazioni di rilevo.
La prima è che l’artigianato di alta qualità a volte si trasforma in attività artistica ‘alta’ e si rivolge quindi ad un tipo di pubblico di élite, molto colto e con elevate disponibilità economiche. Questo può indebolire le relazioni con i cittadino ‘normali’ anche se – per altri versi – trasforma gli artigiano in operatori culturali che possono operare come agenti di cultura nei confronto della comunità locale.

Questo ci porta ad una seconda considerazione rilevante: è evidente che tra bottega artigiana e comunità locale esistono complesse relazioni di comunicazione, influenze e scambi reciproci che configurano una relazione di interdipendenza dinamica molto vitale. Queste relazioni, che comprendono anche le attività didattiche ed educative che molte botteghe svolgono sia in modo formale che informale, sono poco conosciute ma dovrebbero essere indagate, conosciute ed esplicitate meglio.

Noi tutti infatti ‘sappiamo’ confusamente che il lavoro artigiano ha un valore sociale e culturale che supera quello meramente economico, ma generalmente non siamo in grado di essere più espliciti e precisi su questo punto. Riuscire ad esserlo però è la base essenziale per poter imporra politiche di supporto adeguate che impediscano l’estinzione di quelle attività che altrimenti sono fuori mercato me che hanno comunque un grande valore extraeconomico.

Progetto ATENA, workshop iniziale:
“Sostenibilità e sviluppo dell’artigianato tradizionale in una città d’acqua” .

Gruppo di lavoro sul tema: la comunità.
Come le comunità locali percepiscono il patrimonio culturale intangibile e materiale.

Link al progetto ATENA

Perchè l’Arsenale

Per Domenica 9 settembre: Visita ai luoghi nascosti dell’Arsenale:
incontri e dialogo con testimoni significativi.  Per l’occasione riproponiamo un breve video in cui Paolo Lanapoppi chiarisce il significato e l’importanza di questo luogo magico.

Qui si vede chiaramente l’ambiguità del concetto di valorizzazione, oggi talmente abusato da significare tutto e il contrario di tutto.

Per chi vuole partecipare, il programma e i dettagli si trovano qui

Due giardini da scoprire

Giardino delle vergini

Non molti si sanno dell’esistenza di questi due magnifici giardini. Meno ancora sono saliti sulla terrazza della Torre di Porta Nuova da cui si gode una vista impagabile su tutta la città.

Domenica prossima avremo modo di scoprire molte cose, compresi i regimi di accessibilità di questi spazi che sono molto più aperti di quanto si creda.

Le vista – organizzata dal Forum Futuro Arsenale – è lunga, ma si può partecipare anche solo al mattino oppure solo al pomeriggio. Benvenuti i bambini, che potranno fare anche un giro in barca a remi nella Darsena Grande dell’Arsenale, normalmente chiusa l pubblico in quanto zona militare.

Programma

10.00 – Incontro in Campo Ruga
10.30 – Visita guidata al Giardino delle Vergini con illustrazione delle opere esposte e degli interventi nel giardino, a cura della Biennale di Architettura.
12.00 – Traghetto dall’Arsenale sud all’Arsenale nord, con il servizio navetta o con le imbarcazioni delle remiere. Per chi lo desidera, giro della Darsena Grande in barca a remi.

12.30 – Pranzo autogestito sulla banchina nord.

14.00 – Visita guidata al Giardino Thetis, a cura di Thetis
15.00 – Visita guidata ai tre Bacini di Carenaggio, a cura del CVN.
17.00 – Aspettando il tramonto, sulla terrazza della Torre di Porta Nuova

Ecco la torre di Porta Nuova com’era quando serviva ad armare gli alberi per le navi costruite in Arsenale. Oggi non è molto diversa, ma è perfettamente restaurata.

torre porta nuova

 Modalità di partecipazione

Non è necessaria la prenotazione. Lʼiniziativa è aperta a tutti ed è gratuita, ma sarebbe opportuno sapere quante persone saranno presenti, per cui ci fate una cortesia se comunicate la vostra presenza a: segreteria@futuroarsenale.org

o anche utilizzando il form in fondo a questa pagina.

Pranzo autogestito vuol dire portarsi il proprio cibo, ma c’è sempre il bar aperto sul lato nord per bevande, panini, toast gelati ecc. e i servizi igienici.

Come arrivare

La cosa più semplice è scendere alla fermata Arsenale con il battello e percorrere tutta la Via Garibaldi. Poi Calli & Callette, ma non vi perdete, il percorso è breve (10 minuti) e basta seguire questa mappa:

percorso Campo RUGA

OK ci sarò:

 

ZOGA! Le mani sulla città

Come fare per informare e stimolare quella grande parte della cittadinanza che si dimostra passiva i insofferente verso le sorti del luogo dove vive? Seminari e conferenze servono a poco perché vi partecipano sempre le stesse persone, quelle già attive. Qui c’è una giovane compagnia teatrale che ci prova con mezzi che sono loro propri.

“Zoga! Mani sulla città” vuole coinvolgere studenti universitari e coloro che s’impegnano attivamente tramite l’associazionismo contro il declino di Venezia facendoli partecipare a un vero e proprio gioco di ruolo. Una partita che rimette le decisioni fondamentali per il futuro della città alle performance di quattro squadre: Turisti, Anziani, Studenti e Commercianti. Chi conquisterà Venezia? Solo chi proporrà la performance più convincente. Con “Zoga! Mani sulla città” fare teatro diventa davvero un atto politico.

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Perché è interessante per noi?
la lista è lunga:

Interpretando un ruolo ci si deve mettere al posto di un altro e “impadronirsi” delle sue ragioni e punti di vista. Di solito non lo facciamo e questo è un grande ostacolo per ogni forma di partecipazione e collaborazione.

Si trattano questioni molto serie senza essere noiosi. Confondere la serietà con la noia è un errore comune che ci deriva da spesso da certe disastrose esperienze scolastiche. Ma fare teatro ci si diverte e si è molto seri contemporaneamente.

I partecipanti a volte scoprono di avere talenti che non sapevano di avere.

Di solito chi vuole partecipare attivamente al governo della sua città è piuttosto anziano. Qui invece sono quasi tutti molto giovani.

C’è il tentativo di una piccola compagnia teatrale di radicarsi in città. Venezia è una città che fa scappare i residenti a causa specialmente dell’altissimo costo della residenza dovuto ad una pressione turistica incontrollata. Qui però c’è un gruppo di giovani che studia o ha studiato a Venezia e che vorrebbero poterci vivere lavorando come professionisti del teatro.

Dopo varie giornate di preparazione la prima dell spettacolo si terrà al Teatro Goldoni il 14 maggio 2016 alle 20,30

Interviste a:
Flavia Antonini
Alessia Cacco
Jacopo Giacomoni

Video a cura di:
Adriano De Vita – Faro Venezia

Links:

Una caserma come cosa buona da pensare

PEPE 8

Pubblico qualche foto della caserma Pepe, al Lido di Venezia, inattiva da alcuni anni.
Lo stato di vergognoso abbandono in cui si trova la caserma Pepe è ben documentato dalle foto scattate pochi giorni fa e qui non intendo discutere difficili piani di recupero o lamentarmi dell’indifferenza delle istituzioni. Questa visita è stata piuttosto una buona occasione per chiarire che cosa si intende per “patrimonio” e “valorizzazione” riprendendo alcune idee di base che animano la Convenzione di Faro.

Tutte le foto su FLICKR in grande formato
L’architettura della caserma è, con ogni evidenza, quella di una istituzione totale come un carcere, un manicomio, molti collegi e luoghi simili. Un mondo chiuso in cui la vita delle persone regolata da norme interne dalle quali non si può sgarrare.

A chi sa che cos’è viene subito in mente il Panopticon. Questa era è una struttura carceraria “ideale” progettata nel 1791 dal filosofo, giurista e industriale Jeremy Bentham. Lo scopo era di rendere completamente controllabili a vista i detenuti attraverso una postazione centrale. Le celle dovevano essere disposte in cerchio attorno a questa postazione permettendo ai guardiani (coloro che guardano) di osservare senza impedimenti i detenuti in ogni momento della loro giornata.

Ma questa caserma è diversa da un Panopticon. Al centro si trova un bellissimo pozzo e non una postazione di controllo. Qui si respira aria di controllo diffuso, di una assoluta mancanza di vita privata e individuale. Tutti vedono e controllano tutti. In un carcere ci si va per forza, ci si è rinchiusi con la forza. In corpo militare di élite invece chi si va volontariamente e ci si sta con orgoglio. Non si è imprigionati, si appartiene e si appartiene per sempre, anche dopo il ritorno alla vita civile, perché quell’esperienza è intensa e provoca un cambiamento della personalità permanente.

Per sviluppare il senso di appartenenza la normale organizzazione gerarchica degli eserciti e le regole disciplinari esplicite non bastano. Bisogna intervenire sull’intera personalità delle reclute modificandola profondamente. Le comunità forti infatti si basano su una parziale rinuncia delle personalità individuali a favore di una personalità collettiva. Quanto più una comunità è “forte” tanto più radicale deve essere questa rinuncia alla propria personalità individuale. É per questo che quando si entra in un convento – tipica comunità forte – al novizio viene chiesto per prima cosa di rinunciare ai propri abiti civili e anche al suo stesso nome.

Poi serve un periodo di addestramento. Non uso la parola “educazione” che in una società democratica significa tutt’altro e sostanzialmente il contrario. Basta camminare pochi minuti per i corridoi vuoti della caserma per capire di essere immersi in un formidabile dispositivo simbolico. Le grandi scritte sui muri sono ossessivamente presenti e ribadiscono ad ogni ora del giorno i concetti chiave che formano l’identità collettiva del gruppo.

La vita chiusa rispetto al mondo di fuori ma completamente pubblica rispetto al mondo di dentro. Il dispositivo linguistico fatto di pensieri già pensati e l’intensa e organizzata attività fisica, istituiscono un mondo psichico ed emotivo che plasma le personalità in modo profondo. Si parla infatti di “corpi” militari che spesso sono “speciali” se sono dotati di “spirito di corpo”. Con questo si intende. A differenza degli sport professionali, nei quali lo sviluppo di capacità fisiche speciali è inserito in contesto di competizione individuale, l’identità di questi corpi è anche fisicamente collettiva.

L’unica scritta non istituzionale che ho trovato su muri di una stanza testimonia chiaramente la consapevolezza e l’apprezzamento per questa identità collettiva forte: “Una volta dei nostri, sempre dei nostri”.

Valorizzare, fare cultura

Allora in che senso il patrimonio “fisico” ha un valore culturale? Spesso ci si limita a riepilogarne la storia, l’anno di costruzione, la trasformazioni, gli utilizzi e poco altro. Un vuoto nozionismo tipico della scuola di due secoli fa. Ma spostare l’attenzione dalle cose alle persone significa invece evidenziare i mutamenti dei significati e delle forme di vita sociale che hanno accompagnato una particolare strutturazione del territorio. Solo così le pietre cessano di essere cose buone da usare per diventare cose buone da pensare.

Se un eventuale recupero della caserma abbandonata dovesse cancellare le scritte sui muri con una buona mano di bianco, la possibilità di cogliere i molteplici significato che quel luogo testimonia scomparirebbe.

Farne un luogo di piacevole vita civile, alloggi per studenti, laboratori per artigiani è certo un buon modo per evitarne la rovina e trasformare un luogo di guerra in uno di pace ci attira. Però qualche foto ricordo bene incorniciata non basta a preservarne il valore. L’esperienza fisica del luogo è inestricabile da quella simbolica. É per questo che portare gli studenti ad Auschwitz è profondamente diverso dal raccontarne la storia in una comoda aula scolastica e che incontrate un testimone diretto è diverso da leggerne la storia in un libro. Separare la mente dalle emozioni e le emozioni dal corpo, come ci ha abituati a fare la nostra cultura idealistica – è distruttivo e rende la “cultura” inutile.

Storia della caserma in sintesi
La caserma Guglielmo Pepe fu costruita tra il 1591 al 1595, come sede delle delle Truppe Anfibie, meglio note come “Lagunari” e rimase in attività fino al 18 maggio 1999 quando il Comando del Reggimento e due Compagnie furono trasferite a Mestre.
Il Reggimento Lagunari “Serenissima” è l’unico reparto di fanteria da assalto anfibio dell’Esercito Italiano. Sono gli eredi diretti dei “Fanti da Mar” della Serenissima il cui primo nucleo fu istituito dal Doge Enrico Dandolo nel 1202. dal 2007 fanno parte della unità interforze Forza di proiezione dal mare con la Brigata marina “San Marco” comunemente nota come “Marò”.

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Il nemico interno

Mi è arrivata da poco questa promozione da Booking.com.

venezia vegas

L’invito è diretto ad un ipotetico viaggiatore che non sa bene dove andare ed è incerto tra Venezia e Las Vegas. Evidentemente nell’immaginario del turismo di massa le due città sono più o meno la stessa cosa. Se ne facciano una ragione tutti coloro che pensano che si possa combattere il turismo di massa – e i danni che provoca – incentivando quello di qualità. Forse vent’anni fa si sarebbe potuto, ma non oggi.

Venezia è un fatto di esperienza diretta. Chi non ci vive non ha questa esperienza e non si rende conto neppure delle cose più ovvie; per esempio del fatto che si vive sull’acqua.

Così capita che l’autista del furgone del corriere telefoni chiedendo come si fa ad arrivare alla Giudecca e dove parcheggiare. Capita che gli ispettori delle poste vogliano negare l’autorizzazione ad operare per un nuovo ufficio perché non ha il garage per i motorini. Capita che i visitatori pensino che l’acqua alta sia una cosa divertente o che chiedano come si fa ad attraversare il “fiume” Canal Grande o che ammirino la vista sul “mare” che si gode a Piazza San Marco.

Non si tratta di banali ingenuità. Sono invece in azione potenti modelli culturali, cioè idee e atteggiamenti inconsapevoli, ma molto radicati,. Non modificabili facilmente; quasi quanto un codice genetico.

Così quando si parla di “valorizzare” Venezia (o un altro bene culturale qualsiasi) il significato di questa parole può essere opposto a seconda ci chi lo usa e senza che nessuno se ne accorga.

Capita anche che la stessa persona, animata dalla migliori intenzioni di valorizzazione della città nel rispetto della sua storia e modalità specifiche di qualità della vita, poi si lanci a proporre progetti che la trasformerebbero appunto in Las Vegas. Senza accorgersene.

I traghetti da parada a Venezia

I traghetti da parada a Venezia sono stati per secoli il principale mezzo per attraversare il Canal Grande, che taglia in due la città.

Il video registra una degli incontri organizzati dall’associazione El Felze, che raccoglie gli artigiani impegnati nel sistema-gondola:, per la costruzione manutenzione delle barche, gli arredi, i remi e le forcole, le decorazioni, gli abiti.

Quello che risulta chiaramente è che non si tratta di una sopravvivenza fokloristica, come molti credono. I traghetti a remi infatti:

– sono più efficienti ed economici del trasporto pubblico;
– costano 2 euro per traversata (70 centesimi per i residenti);
– creano un notevole indotto per la loro costruzione e manutenzione;
– mantengono vive le tecniche e i saperi tradizionali;
– combattono il moto ondoso con rischi e i danni che ne derivano (funzionano come i dissuasori   di velocità nel traffico urbano;
– creano lavoro per più di 400 gondolieri e 160 sostituti;

Sostenerli o abbandonarli è quindi una precisa scelta politica che a sua volta rivela un modello culturale e la concezione della città sostenuta dalle amministrazioni che la guidano

Interventi di:
Saverio Pastor, remér e presidente dell’ associazione El Felze
Aldo Reato – presidente Bancali e Associazione Gondolieri
Cesare Peris – gastaldo Società Mutuo Soccorso Carpentieri e Calafati

Video realizzato da Adriano De Vita per Faro Venezia

L’Arsenale di Venezia e il ferro forgiato

Nell’Arsenale di Venezia esistono tre grandi Tese (capannoni) che nell’800 erano utilizzate per per la lavorazione del ferro per le costruzioni navali. In una di queste tese ci sono le forge originali che sono state volutamente distrutte in anni recenti per motivi tutti da chiarire. Ora una delle più grandi e attive comunità patrimoniali veneziane, il Forum Futuro Arsenale, ha elaborato un progetto di recupero funzionale delle forge in modo da farne un centro di metallurgia storica in grado operare nei campi del restauro, della produzione, della formazione e delle produzioni artistiche.

Il 26 aprile 2015 abbiamo approfittato di due giorni di apertura straordinaria delle tese per intervistare Alessandro Ervas, uno dei più noti e attenti fabbri veneziani. Nel video Alessandro ci illustra il motivi che stanno alla base del progetto e il significato di questo luogo unico al mondo.

Su progetto di recupero delle forge e dell’intero Arsenale si veda qui:

 

 

Reti locali di supporto per l’artigianato storico e artistico: una proposta

Regione del Veneto e Università Ca’ Foscari Venezia hanno realizzato, con risorse comunitarie del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale e del Fondo Sociale Europea, due progetti: AdriaMuse, per la valorizzazione della cultura immateriale dei saperi e dei mestieri legati alla navigazione fluviale e lagunare, che si è concretizzata nel sito web www.followgondola.eu; Il 26 gennaio 2015 si è tenuto un workshop nel quale si sono confrontati i dirigenti regionali degli assessorati Cultura, Formazione e lavoro, docenti e ricercatori universitari di diverse discipline e rappresentati delle associazioni e degli artigiani.

Faro venezia ha conto l’occasione per invitare tutti i presenti a fare ogni sforzo possible per passare dalla fase della informazione-sensibilizzazione sul tema del valore delle produzioni che si basano sul valore estetico e/o sull’heritage a quella delle azioni concrete di stimolo e sostegno. A Venezia, come in altre città storiche, questo tipo di attività sta scomparendo molto velocemente e non è affatto semplice invertire questa tendenza. Questa è una sintesi della nostra proposta:

Pecepire l’Arsenale

Video-testimonianze raccolte in Arsenale in occasione della festa/apertura del 25-26-27 aprile 2014

Questo video realizza una sorta di Focus Group informale, cioè una raccolta sensazioni e pensieri, più spontanei che ragionati, finalizzati ad esplorare un tema o problema. Ne risulta una immagine collettiva “sottopelle” delle percezioni dei veneziani sull’arsenale. Di questa immagine è necessario partire quando ci si pone il problema di fare scelte di governo sul futuro di questa parte della città se si vuole che queste scelte siano saldamente agganciate al sentire della popolazione. Non farlo significa cadere nella deriva tecnocratica che consiste nell’affidare un problema ad un gruppo di specialisti che tendono inevitabilmente ad espropriare la popolazione del diritto di parola e di scelta.

Ma l’ascolto di una testimonianza non è mai una cosa semplice perché ogni cosa detta viene capita ed elaborata in modo diverso da chi la ascolta. Inoltre l’esperienza che le persone intervistata esprimono è – in quanto esperienza – non discutibile: un buon ascolto deve sempre essere non-giudicante. Il suo scopo è la comprensione di quello che i testimoni tentano di esprimere, non di stabilire se hanno regione o torto e meno che mai se siamo in accordo o disaccordo con loro. Il buon ascolto richiede rispetto incondizionato e questa una cosa difficile da praticare.

Le interviste si basano su due domande uguali per tutti: “C’è un ricordo che ti lega all’Arsenale?” e “Come vorresti che diventasse l’Arsenale?”.

Dalla prima domanda ricaviamo sostanzialmente ricordi d’infanzia per le persone più anziane o vaghe impressioni del periodo in cui un battello del trasporto pubblico lo attraversava senza fermarsi. Le immagini più frequenti sono quelle di un luogo chiuso e proibito circondato da alte e incomprensibili mura, un luogo magico visto con occhi di bambino e un luogo proibito visto da un adulto. La lunga chiusura del luogo ai cittadini ne ha provocato la scomparsa dalla mappe psichiche sulle quali si fonda il senso di appartenenza ad una città. Un luogo che ci è familiare quando possiamo percorrerlo anche ad occhi chiusi, ma oggi i veneziani stessi dentro l’Arsenale perdono l’orientamento, non sanno dare un nome ai luoghi e non trovano l’uscita. Quando avviene questo il processo di espropriazione si è compiuto.

Come vorresti l’Arsenale?

Come logica conseguenza della chiusura di un luogo pieno di fascino la quasi totalità delle testimonianze insiste sulla sua apertura alla cittadinanza. Nessuno intuisce il rischio che una apertura incondizionata possa semplicemente portare all’invasione del turismo di massa, ma le risposte seguenti chiariscono bene che questa non è una disattenzione, ma semplicemente una cosa “impensabile” perché l’apertura deve servire di “farlo rivivere” con attività che “ne ne riproducano la tradizione” ovviamente in chiave moderna.

Su che cosa fare dentro l’Arsenale, una volta aperto, le idee si possono raggruppare su pchi temi, declinati in modo simile da tutti:

Spazio per giovani.

Uno spazio che attiri i giovani e dia spazio alle loro idee, capacità e creatività, li faccia vivere bene. Le proposte comprendono, spazi e attività per bambini, luoghi per artisti a basso costo, laboratori artigiani di ogni genere, attività sportive di ogni genere ma specialmente legate al mare: nuoto, voga e vela). Parco pubblico con aree verdi. Attività educative. Il grandissimo successo del laboratorio di ceramica dei Bochaleri (si veda la parte centrale del filmato) attivato negli stessi giorni nei quali sono state realizzate le interviste non fa che rafforzare l’idea che siamo difronte ad un grande bisogno, molto sentito da tutti, al quale la città oggi non sa dare una risposta adeguata. Per chi non vuole rassegnarsi al progressivo invecchiamento dei residenti e alla fuga delle giovani famiglie questo è un obiettivo primario.

Cultura e centro civico.

Un secondo blocco di risposte si concentra sulle attività culturali: musica, arti di ogni genere, convegni, manifestazioni. Queste attività a Venezia non mancano affatto e inoltre l’Arsenale è già sede delle Biennale e del Museo Navale che è recentemente passato sotto la direzione dei Musei Civici. Forse queste richieste si possono interpretare nel senso di produzioni culturali più vicine alla popolazione; che funzionino come polo di attrazione e animazione per i veneziani. Le grandi istituzioni culturali spesso sono sentite come lontane e orientate al mondo intero. La natura concentrata del luogo poi suggerisce l’idea del campus o del distretto della cultura che favorisca gli incontri, le frequentazioni la fertilizzazione reciproca tra gli artisti e tra loro e la cittadinanza in modo da favorire la produzione artistica e non solo la semplice fruizione. Inoltre manca un vero centro civico cittadino e le numerosissime associazioni attive in città spesso non hanno una sede adeguata. Il grande successo dello spazio nella ex libreria Mondadori a San Marco, ora scomparso, testimonia ampiamente la presenza di questo bisogno.

Infine il lavoro.

Chi ne parla suggerisce attività artigianali di vario tipo, ma soprattutto legate all’heritage, agli antichi mestieri, alle professioni legate alla nautica e al mare, ma anche attività di ricerca e sviluppo tecnologico. Se l’esigenza di base è quella della ri-appropriazione dell’Arsenale da parte della città il lavoro dovrebbe essere al primo posto perché il complesso è sempre stato essenzialmente un luogo di lavoro e per questo era al centro anche della via sociale del quartiere. Invece questo tema è meno citato rispetto ai primi due. Come mai? Potrebbe essere che a Venezia il lavoro è legato ormai da tempo al turismo e che non lavora in questo settore lo fa nella sanità, nel pubblico impiego, nella scuola, nelle professioni di servizio. Vuol dire che attività imprenditoriali non turistiche, stat-up di giovani, professioni legate alla tecnologie sono ormai considerate così “lontane” dall’ambiante veneziano da essere divenute impensabili?

Non deve sorprendere infine che i desideri espressi siano piuttosto generici: i problemi da affrontare anche solo per cominciare a concretizzarli sono molto complessi. Non sembra esistere una vera consapevolezza del fatto che il futuro dell’arsenale è legato alle scelte politiche di fondo di chi governa la città. Gli unici due intervistati che si sono spinti più avanti si questa strada sono infatti persone che “pensano” l’Arsenale da diverso tempo: la proposta della Fondazione in Partecipazione come strumento di governance condivisa (Pizzo) e l’Arsenale come centro della città metropolitana (Wanner). Sviluppare frequenti occasioni di dialogo e confronto con la cittadinanza sui modi di attuazione delle idee espresse è un lavoro faticoso, ma anche l’unico modo per favorire in formarsi di una progettualità cittadina realmente sentita, diffusa e condivisa.

Adriano De Vita

Video della prima Passeggiata patrimoniale all’Arsenale

Video della prima passeggiata patrimoniale all’Arsenale realizzata il 27 giugno 2014 con circa 40 partecipanti e 6 testimoni diretti. Il video è stato realizzato dall’Ufficio Arsenale a cura di Alessandro Zanchini del Servizio Videocomunicazione del Comune di Venezia con la collaborazione di Prosper Wanner.

Visibile anche nel sito dell’Urban Center Virtuale dell’Arsenale:
http://arsenale.comune.venezia.it/?p=1469

Da Youtube si può condividere liberamente su altri siti o FaceBook

ARSENALE DI VENEZIA – foto

Alcune foto della passeggiata patrimoniale All’Arsenale di Venezia del 27 giugno 2014.
Grazie a Gianfranco Segantin per le sue bellissime foto