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Il Patrimonio dissonante – osservazioni e temi critici

Di: Silvia Chiodi

Intervento nel workshop DISSONANZE, aA cura dell’Associazione Faro Venezia
Tenutosi al Lido di Venezia il 4 dicembre 2023

L’articolo seguente è uno sviluppo di quanto esposto nel video.

Nella slide di apertura, accanto al sottotitolo “Osservazioni e temi critici” al patrimonio dissonante, ho volutamente posto un primo ed importante tema critico connesso alla distruzione di memorie non condivise: la creazione di un indice ideologico. Questo perché, come vedremo, il rischio c’è ed è molto forte e attuale.

Per introdurre il problema volevo soffermarmi sulla definizione di patrimonio dissonante. Il tema però è già stato affrontato da Lauso Zagato e da Giuseppe Maino a cui rinvio.

Ricordo solo che l’oggetto patrimoniale, in quanto oggetto, è di per sé neutro, non lo è in quanto patrimonio culturale. E’ il pensiero, l’idea, che si ha di quell’oggetto, la funzione di cui lo si ammanta etc. che può renderlo controverso per la comunità e/o per le persone o gruppi di persone ad essa estranea.

Faro Venezia ricorda, tra le altre cose, che tutti i vari casi di dissonanza si prestano molto bene ad essere occasioni di apprendimento del pensiero critico ed aperto. Attraverso la dissonanza è infatti possibile un’educazione al patrimonio per mezzo dell’adozione di un approccio critico, di dibattiti, di analisi che, in quanto tali, ci permettono, tra le altre cose, di capire perché un bene culturale viene o è stato percepito come controverso e al contempo di cercare di superare tale controversia.

Tutte le opere d’arte o meglio, tutto il patrimonio culturale – in quanto cultural – è di per sé potenzialmente controverso perché ha in sé la controversia insieme alla possibilità di non essere tale.

Poiché il patrimonio culturale in quanto portatore di valori, di simboli, di pensieri di ideologia, e di tanto altro ancora, non è neutrale le problematiche possono nascere anche da come lo presenti, come ne discuti e come ne parli.

Vorrei fare un esempio utilizzando una controversia che riguarda il discobolo Lancellotti. Reso all’Italia nel 1948, insieme ad altre opere illegalmente portate in Germania, ne è stata recentemente rivendicata la restituzione. La pretesa ha origine da una lettera in cui, da parte italiana, si richiedeva la base di marmo su cui poggiava la scultura. Richiesta a cui la Germania ha risposto richiedendo la restituzione dell’opera in quanto non trafugata ma venduta ad Hitler per volere di Mussolini (seppur vincolata dal 1909).

Ma perché ve ne parlo in questo contesto? In una mostra dal titolo Arte liberata. Capolavori salvati dalla guerra 1937-1947, allestita a Roma presso le Scuderie del Quirinale dal 16 dicembre 2022 al 10 aprile 2023, nella sezione Le esportazioni forzate e il mercato dell’arte troviamo il discobolo in questione.

Se il nostro sguardo si fermasse alla sola osservazione dell’opera d’arte contempleremmo la copia romana del celebre bronzo di Mirone e ne ammireremmo la bellezza e le forma. Ma se il nostro occhio superasse, come l’allestimento chiede, la statua, la stessa acquisirebbe di colpo un valore ed un significato profondamente diverso diventando potenzialmente controverso travalicando la prima potenziale domanda: a chi appartiene questa statua? Ponendone una seconda e più problematica: qual è il rapporto, se ve ne è, della statua con il nazismo e la sua ideologia? La risposta, a seconda del pensiero di chi la pone e risponde, cambia e può potenzialmente attribuire un carattere più o meno dissonante alla statua e provocare reazioni più o meno furiose.

Non mi soffermo su architettura e patrimonio dissonante e se Cadorna e Cialdini siano o meno stati criminali di guerra, ma sulla figura di Cristoforo Colombo e sulla diatriba che oggi lo riguarda: scopritore o colonialista?

Mente stavo preparando la lezione per l’Università, due opere, generalmente considerati miti, ma che tali non sono, scritti in sumerico e datati alla fine del III millennio a.C. (o sarebbe più inclusivo dire a.e.v = avanti l’era volgare) hanno attirato la mia attenzione proprio in merito alle questioni di cui sopra.

Ambedue le opere, intitolate dagli studiosi contemporanei: “Enki e il nuovo ordine del mondo” e “Enmerkar e il signore di Aratta”, non solo menzionano la presenza di colonie sumeriche che tentano, senza riuscirci, una ribellione (Aratta) o vengono “visitate” dal dio Enki durante una sua opera riformatrice “dell’ordine del mondo” e a cui il dio dispensa la sua benedizione o parole minacciose, elogiando le realizzazioni già ottenute. Colonie di cui conosciamo l’esistenza già dal periodo di Uruk (seconda metà del iv millennio a.C. ca) e nei cui testi in questione viene religiosamente giustificata l’esistenza e la funzione.

Documenti che, proprio sulla base di quest’ultima affermazione, dovrebbero essere condannati, distrutti, dimenticati.

Ma se così facessimo o se così fosse avvenuto noi avremmo perso due importanti documenti letterari ed al contempo a loro modo storici e fonti importanti per lo studio del colonialismo nell’antichità e che attestano che l’occupazione di territori oltre i confini nazionali non è caratteristica esclusiva del solo mondo occidentale, ma appartiene a molte culture e civiltà. Secondo alcuni studiosi, ad esempio, “l’espansione delle società di Uruk ha qualche somiglianza con l’espansione coloniale delle società europee nelle aree meno sviluppate del Terzo Mondo. Il fenomeno Uruk può essere caratterizzato come un primo esempio di un “impero informale” o “sistema mondiale” basato sullo scambio asimmetrico e su una divisione internazionale del lavoro organizzata gerarchicamente.”

Come tale, il fenomeno evidenzia l’importanza del dibattito e della discussione, oltre che di uno studio scientifico del tema, ed al contempo la necessità di una potenziale condanna dell’idea – in questo caso del colonialismo – che può svilupparsi in ogni cultura. In caso contrario, distruggendo ciò testimonia ciò che non ci aggrada, relegandolo alla sola cultura occidentale saremmo destinati ad una autodistruzione.

Problematiche simili le troviamo nella letteratura, nella mitologia, nei testi religiosi dove troviamo attestate idee e concezioni che oggi nessuno accetterebbe. Pensiamo, ad esempio al tema dello stupro. Un ratto famosissimo è quello di Europa per mano di Zeus. Violenza ricordata persino in una moneta europea (moneta di due euro greca) di cui però sembra che nessuno ne percepisca il valore negativo. Oltre a questo ricordiamo la pratica della schiavitù, il ruolo subalterno della donna, il problema dell’omosessualità e via dicendo.

L’importante è non distruggere ciò che la nostra sensibilità non accetta più, ma discuterne, discuterne e superare la problematica dandogli anche la giusta valenza storica e culturale. A tal uopo il bene culturale potrebbe essere utilizzato per favorire la formazione di un pensiero critico consapevoli che quel pensiero critico non è definitivo e potrebbe cambiare e svilupparsi nell’arco del tempo (e non solo in positivo).

Purtroppo non riesco a farvi vedere questo breve filmato– rimando perciò al link riportato nella slide – in cui tra le altre cose si menzionano le statue decapitate di Gudea, vissuto nel xxii secolo a.C. e che fu governatore della città di Lagash, con l’intento, secondo l’autore del filmato, di cancellarne la memoria storica.

Ora, al di là di Gudea, il senso della decapitazione, soprattutto delle statue che avevano ricevuto il cosiddetto rituale della apertura della bocca, era quello di “uccidere”, cancellandone la sua funzione. Quindi molto di più della cosidetta damnatio memoriae e della cancel cultur (se non quando applicata sulle tombe). In questi casi la statua non era considerata una semplice immagine o rappresentazione ma una duplicazione /sostituzione della persona di cui essa portava il nome. Essa era posta nel tempio, quando “il proprietario”, generalmente il sovrano, era ancora in vita con l’incarico di ricordare alla divinità cosa aveva fatto colui che rappresentava e chiedendo in cambio la vita; vita terrena e vita post-mortem. Per tale motivo, in teoria, la statua non poteva essere spostata dal luogo assegnatole anche con la morte del proprietario in quanto, attraverso la statua, il defunto continuava in qualche modo a vivere, ad essere presente in terra. Per questo l’iscrizione delle statue terminavano con delle maledizioni verso coloro che cancellavano il nome del proprietario, o la spostavano dal luogo in cui era stata posta e via dicendo. Certo non tutte le statue avevano subito il rito di apertura della bocca.

Dopodiché è chiaro che in una società multiculturale come la nostra si registra un surplus di sensibilità e di questo, per una serena convivenza, dobbiamo tenerne conto.

Il problema dei musei, soprattutto i grandi musei e non solo il British o il Louvre, sono stati per lo più impostati sulla base di una precisa filosofia della storia. L’idea infatti che sottende l’esposizione museale per lo più riflette le filosofie della storia e le ideologie del periodo.

Qual è stato il grande problema? Nasce dal fatto che se si continua ad esempio a esporre le opere d’arte secondo una visione storicistica di impianto Hegeliano o anche evoluzionista, non tenendo conto delle scoperte culturali e scientifiche avvenute nel frattempo che hanno cambiato dei presupposti teorici, significa che non solo si rischia di incorrere in un errore espositivo, ma anche offendere e calpestare la sensibilità di diverse persone e popoli. Se io ad esempio colloco l’arte sumerica vicino all’arte delle popolazioni oggi chiamate illetterate, ma allora “primitiva”, sto ponendo queste ultime, come gran parte anche del mondo africano, fuori da quella che chiamiamo storia, ma nella protostoria e / o preistoria con una precisa e parallela scala di valori culturali (i Sumeri, gli Egiziani e gli Assiri – Babilonesi ad esempio vengono collocati culturalmente prima dei Greci).

Se questo, sulle base delle conoscenze dell’800, poteva essere sostenuto, oggi le popolazioni illetterate vengono considerate contemporanee non più residui di una fantomatica preistoria e all’inizio della scala culturale.

ho fatto solo questo piccolo esempio e sono stata velocissima e forse anche troppo ma volevo proporvi delle provocazioni “riflessive”. Non solo di questi aspetti vorrei porre in evidenza non tanto il lato negativo e di protesta, ma quello positivo di crescita di consapevolezza e di rispetto. In caso contrario vi è il rischio distruttivo e di parallela creazione di un indice.

I più anziani fra noi si ricordano cos’era un indice culturale della chiesa cattolica e cosa ha significato questo per gli artisti, filosofi, musicisti, letterati, ma anche per i potenziali lettori.

Quindi attenzione al moralismo estremo. Usiamo il bene culturale per un dialogo, usiamolo il più possibile per conoscerci meglio, pensando che il mondo non è fatto di Buoni e Cattivi ma di tantissimi troppi grigi. Grazie.

WORKSHOP “DISSONANZE”

Il 4 dicembre 2023 Faro Venezia ha realizzato questo workshop sull’idea e le esperienze connessa al concetto patrimonio dissonate o controverso. Si tratta di un tema centrale nella Convenzione di Faro, che si sta rivelando come uno dei più ricchi di implicazioni e sviluppi.

E’ stato fatto anche uno sforzo non indifferente per documentare gli interventi (in parte a distanza) per poterli poi divulgare più facilmente.

Coordinatore scientifico: Lauso Zagato
Organizzazione e video: Adriano Devita

Sentiti libero di utilizzare i materiali seguenti con la licenza Creative Commons seguente (come per tutte le cose pubblicate in questo sito):

Attribuzione – Non commerciale – CC BY-NC

Playlist completa sui Youtube

Links diretti ai singoli video

Adriano Devita: interi, integri, integralisti. Alle origini della violenza.
https://youtu.be/GB6tlDYKsgo?si=kBjW97iXRMjGfqoQ
Il patrimonio come fattore di salute mentale.

Lauso Zagato: il patrimonio culturale tra dissonanza e divisività
https://www.youtube.com/watch?v=L6m3-Kl1ryk
Le differenze tra dissonanza diacronica, sincronica e di potere.
Ampia carrellata di casi importanti che illustrano le differenze tra i diversi tipi di dissonanze.

Giuseppe Maino e Donatella Biagi Maino: elogio della dissonanza cognitiva
https://youtu.be/5F7qAgpA6Bg?si=P6khSADm8hEKr74_
Riflessioni che partono dalla teoria della dissonanza cognitiva che lo psicologo americano Leonard Festinger elaborò a partire dagli anni ’50.

Paola Cosma – Decolonize Your EyesPadova
https://youtu.be/SAj2X9_unbM
Padova, come tante altre città del nostro paese, ha molti riferimenti alle colonie italiane nell’odonomastica e nell’architettura. Non sono solo gruppi “dal basso” a cercare di ri-significare questi luoghi, ma a volte anche le istituzioni

Silvia Chiodi: patrimonio dissonante – osservazioni e temi critici
https://youtu.be/rd5J0nfpLbQ?si=8oP3ovQQd14rdpmr
La possibilità di dare interpretazioni diverse di uno stesso oggetto patrimoniale senza che questo generi censure o conflitti violenti è ciò che distingue una democrazia da una dittatura e ha un forte valore educativo.

I relatori

Adriano Devita, psicologo e antropologo. Si è occupato principalmente di programmi e progetti pilota di formazione di gestione della conoscenza per il sistema delle PMI e di politiche attive del lavoro. In campo culturale è socio fondatore di Faro Venezia, del Faro Lab, del Forum Futuro Arsenale e di altre comunità patrimoniali. E’ fondatore e direttore del Venice Intercutural Film Festival, che si occupa di dialogo interculturale. Il suo interesse principale ora riguarda i sistemi di democrazia partecipativa in campo culturale.

Lauso Zagato, già professore di diritto internazionale e UE, e direttore del centro studi sui diritti umani (CESTUDIR) Università Ca’ Foscari-Venezia. Nei due ultimi decenni si è occupato in particolare di protezione del patrimonio culturale nei conflitti armati e di salvaguardia del patrimonio culturale intangibile. Attualmente è membro di Faro Venezia e coordina il gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.).

Giuseppe Maino, fisico teorico, è autore di oltre 450 pubblicazioni scientifiche e quattro libri su argomenti di fisica nucleare e della materia condensata, di matematica applicata, di diagnostica non distruttiva applicata alle opere d’arte. Ho ideato e diretto progetti di ricerca nazionali ed europei, organizzato 39 convegni internazionali ed insegnato presso università italiane e straniere, oltre ad essere stato direttore di ricerca dell’ENEA, ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente.

Donatella Biagi Maino è professore associato di storia e teoria del restauro presso l’Università di Bologna. E’ autrice di monografie e saggi sulla pittura italiana del Seicento e Settecento; si occupa di conservazione e salvaguardia dei beni culturali a rischio e su questi temi ha coordinato progetti di ricerca e organizzato convegni internazionali di studi, oltre a condirigere la collana di volumi di Storia e Teoria del Restauro presso l’editrice EDIFIR di Firenze.

Paola Cosma è una ricercatrice, attivista e regista indipendente. Si è laureata in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale con una tesi Figure femminili nel cinema delle banlieues presso l’Università di Padova. E’ attivista nell’ASD Quadrato Meticcio e Decolonize Your Eyes. Conduce il doposcuola di quartiere presso l’Asd, organizza eventi e attività sociali e realizza prodotti audiovisivi, utilizzandoli come strumento di relazioni sociali e ricerca sociale in particolare con minori e adolescenti.

Silvia Chiodi, è dirigente di ricerca all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee del CNR di Roma e docente a contratto di Arte e culture del Vicino Oriente antico per il Corso di Laurea in Teoria e storia delle arti e dell’immagine dell’Università Vita – salute del San Raffaele di Milano. A seguito delle personali esperienze in Iraq e in Libano (1993- 2006) si occupa, tra le altre cose, di protezione del patrimonio culturale durante i conflitti armati. Dal 2004 è stata insignita Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per motu proprio dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Partecipa al gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.)

Lo sguardo dell’artista sul patrimonio controverso

Che le passeggiate patrimoniali (e attvità simili) siano molto popolari è un fatto positivo. Che il 90% dei temi posti dalla Convezione di Faro siano quasi completamente ignorati dalle autorità e anche dalle Comunità Patrimoniali è un altro fatto, ma meno positivo. Uno di questi temi riguarda il patrimonio controverso o”dissonante” (FAQ 1.12 Faro Venezia). Il patrimonio dissonante è una cosa buona da pensare, come direbbe Levi-Strauss. Sorge inevitabile il dubbio che si eviti di discuterne proprio per questo motivo.

Poi però succede che il tema che esca fuori, all’improvviso, in luoghi e forme inaspettate, come i fiumi carsici e le risorgive. La prima di queste emersioni che vi segnalo è il breve video diffuso da poco dal canale arte.tv che introduce bene l’argomento e mette fuoco il ruolo dei musei come custodi del dissonante. Già questo rinnova non poco l’idea corrente di “museo”.

Ma una novità ancora maggiore ci arriva – pochi giorni dopo – dal lavoro di una giovane artista. Per quanto ne so la peruviana Daniela Ortiz è la prima ad affrontare la questione del patrimonio dissonante prendendola di petto e scardinando alla base l’alternativa del diavolo tra “lasciamo tutto com’è e “buttiamo giù tutto”.

Cittadella di Spandau – mostra “Enthüllt – Rivelato”

«Vogliono mantenere viva la narrazione colonialista, la conservazione del patrimonio è solo una scusa». «Volevamo smettere di considerare Roma una città con un passato talmente potente da sovrastarci e immobilizzarci, desideriamo mettere l’eredità in dialogo con l’arte contemporanea (…) perché la nostra riflessione è legata alla permanenza di quei simboli egemoni risalenti all’Impero romano e all’epoca fascista, crediamo che la questione del colonialismo italiano non sia stata affrontata adeguatamente»

“Ho cominciato più di dieci anni fa, quando ho notato la presenza di un indigeno inginocchiato alla base del monumento a Cristoforo Colombo a Barcellona. Mi ha colpito la sua rappresentazione così paternalistica e ho deciso di girare un video durante il 12 ottobre, la festa nazionale spagnola che commemora il giorno della scoperta dell’America – una celebrazione che peraltro non è stata istituita da Franco ma dal partito socialista negli anni ’80″

Il pensiero-azione, tipico delle performance artistiche, ci mostra come i modelli di pensiero che hanno dato origine ai beni controversi sono evolutivi e non statici. Il non-pensiero degli approcci ideologici è molto rigido e non tollera alcuna evoluzione. E’ proprio per superare questa rigidità, che genera violenza, che il patrimonio dissonante ci torna utile. Però si rischiano ritorsioni violente, anche in paese apparentemente democratici.

“Dopodiché ho cominciato a ricevere molte minacce sui social, come avviene a tutte le militanti anticolonialiste e antirazziste. La situazione è diventata più pesante quando ho scoperto che uno di questi gruppi mi stava monitorando ed era a conoscenza di numerosi dettagli della mia vita privata (…) ho capito che era troppo pericoloso restare. Così sono tornata in Perù.”

Le citazioni di Daniela Ortiz sono tratte da:
Daniela Ortiz, il conflitto mai sopito nascosto dietro i monumenti
Intervista. L’artista peruviana a Roma racconta la sua performance
https://ilmanifesto.it/daniela-ortiz-il-conflitto-mai-sopito-nascosto-dietro-i-monumenti/

Intervista video su LOCALES:
https://www.localesproject.org/agire-lo-spazio-pubblico-pratiche-artistiche-decoloniali/

Faro Social Video – Lessons learned

Questo video riassume le lezioni apprese durante la realizzazione di un video collaborativo realizzato con la partecipazione di 6 Comunità Patrimoniali facenti parte del Faro Social Lab.

Il video realizzato con la collaborazione di 6 Comunità Patrimioniali è questo (con una descrizione dettagliata del progetto:
https://farovenezia.org/2021/02/01/faro-social-video/

La pagina Facebook del Social Lab si trova qui:
https://www.facebook.com/FaroSocialLab

Per partecipare alla attività del faro Social Lab è necessario compilare questa scheda informatva.
https://forms.gle/qwv15PCCBsjkaGXq5

La Convenzione di Faro, stabilisce, tra le molte innovazioni, che.
“L’eredità culturale è un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato del l’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi .

Faro Social Video

Ecco il video prodotto dal Faro Social Lab.

Per chi non avesse seguito il progetto ricordo che è nato durante il periodo natalizio e il contemporaneo lockdown. Si trattava di produrre 6 brevi video clips di 20 secondi ciascuno da parte di sei diverse comunità patrimoniali per poi montarli assieme e arrivarre ad un “promo” unico di due minuti, cioè 20×6=120 secondi. Ciascun clip doveva trattare un sola tematica specifica attinente alla Convenzione di Faro in modo da “visualizzare” l’attività del proponente su quel tema. Vietate inoltre le interviste o lezioni: il clips dovevano sfruttare la specifcità del mezzo e cioè le immagini in movimento. Ammesse invece brevi didascalie o scritte sovrapposte.

Le istruzioni dettagliate si trovano qui

Chi ha pratica di produzione e montaggio video sa che che riuscire a fare un promo brevissimo che illustri una idea o racconti una storia è di gran lunga più diffcile che fare un video lungo.

Come è andata? Benissimo.

Le risposte sono state immediate. Alcuni video inviati erano sotazialmente pronti, altri hanno avuto bisogno un un certo lavoro di post produzione, ma neanche tanto. Ci siamo anche divertiti, il che non guasta.

L’idea del video collettivo aveva anche lo scopo di “testare” la capacità di collabortazione tra comunità patrimonilai diverse e la cosa che mi ha stupito di più è stata la faciltà di collaborazione tra perfetti sconosciuti. Non va sempre così negli ambienti di lavoro e meno che mai nel campo della produzione video, ve lo assicuro. Quindi complimenti a tutti!

Nel corso del progetto sono emerse alcune interessanti “lezioni apprese” che però saranno oggetto di un prossimo post dedicato. Tutti crediti per gli autori si trovano nel testo di accompagnamento pubblicato su Vimeo.

Il video può essere liberamente scaricato e riutilizzato, anche in parte, secondo questa licenza



Licenza Creative Commoms CC BY-NC 4.0
testo da citare:
“Faro Social Lab
https://vimeo.com/showcase/7913346
https://www.facebook.com/FaroSocialLab


Su Vimeo esite anche una rccolta di tutti i singoli clips da 20 secondi:
https://vimeo.com/showcase/7913346

Produrre un “social” video

Le attività del Laboratorio (Faro Social Lab) proseguono.
Siamo arrivati alla pubblicazione del terzo clip video da parte delle Comunità patrimoniali aderenti. Ricordo a tutti che il promo finale dovrà essere di 120 secondi e quindi c’è spazio per 6 clip di 20 secondi ciascuno. Per ora abbiamo 5 proposte, delle quali 3 hanno assunto la loro veste finale. Ecco l’ultimo video sul tema ATTIVITA’ EDUCATIVE di Rosa Tiziana Bruno:

Le istruzioni dettagliate per chi vuole partecipare (anche singole persone, non solo Comunità Patrimoniali) si trovano qui.

Tutte le clips brevi finora pubblicate si trovano qui:

Si tratta di un esperimento che ha anche lo scopo di capire finia che punto le competenze digitali di base sono diffuse tra chi si occupa di cura valorizzazione del patrimonio. Ormai riuscire a realizzare brevi video di qualità decente dovrebbe essere considerata una competenza “alfabetica” – come leggere scrivere e far di conto – cioè una cosa da apprendre con il latte materno in una società avanzata.

Ma mentre la tecnica si semplifica ogni giorno di più, non si può dire lo stesso per le capacità di utilizzarla per esprimere idee e o sviluppare racconti. Qui serve consapevolezza del fatto che un video è anche uno strumento di conoscenza (non solo di intrattenimento) e sviluppare conoscenza usando le immagini comporta lo sviluppo di abilità specifiche perchè è una cosa del tutto diverso rispetto al ragionamento logico-astatto che usa la parola.


Modulo di iscrizione al Faro Social Lab
per Comunità patrimoniali e altre organizzazioni o istituzioni interessate:
Compila il modulo

Renzo INIO, cordaio in Venezia

Oggi se n’è andato Renzo Inio, l’ultimo cordaio di Venezia, che da tempo si era ritirato in casa di riposo alla Giudecca. Otre a ricordarlo come un persona di squisita gentilezza si tratta di una perdita pesante di un patrimonio notevolissimo di cultura ed esperienza che la sua città non è mai riuscita a valorizzare come meritava. Esiste però una sua intervista approfondita, l’ultima che è stato possibile realizzare il 27 ottobre 2017, nel corso di una Passeggiata Patrimoniale organizzata dal Comune di Venezia, Ufficio Arsenale (oggi scomparso).

I macchinari storici delle corderie Inio, abbandonati in Arsenale nel 2014

Riproponiamo qui un articolo già pubblicato in passato che riporta, oltre all’intervista, anche un un testo a stampa molto approfondito e un altro video che ci mostra che cosa è possibile fare, solo volendolo, in un contesto diverso.

VIDEO INTERVISTA A RENZO INIO, L’ULTIMO CORDAIO

L’intervista di Renzo Inio è stato realizzata da Prosper Wanner e Alessandro Zancchini

Poi abbiamo qui un approfondito articolo di Francesco Calzolaio che racconta la storia delle corderie Inio a partire dei primi del 900.

Se poi volete vedere i macchinari in azione esiste un video realizzato da un piccolo museo finlandese che mostra il processo di produzione. La attrezzature usate sono quasi identiche a quelle veneziane. Si potrebbe fare facolmente anche da noi questo a costi contenuti e senza grandi difficoltà. Lo faremo ? Pare di no.

Svezia – Venezia 10-0. Le corderie in Svezia e a Venezia

In Svezia esiste un paesino chiamato Älvängen. Qui in passato esiteva una fabbrica di cordami del tutto simile alla corderia Inio. Dal 2015 nei vecchi locali della fabbrica esiste oggi un piccolo museo che mostra la tecnica di produzione dei cordami com’era agli inzi del 20° secolo. Le cime sono prodotte oggi dalla P.A. Carlmarks rope factory, una piccola ditta locale specializzata. Qui si producono anche le cime necessarie per alcune imbarcazioni d’epoca, tra le quali la spettacolare East Indiaman Götheborg.


East Indiaman Götheborg

Si tratta della ricostruzione filologica – fatta cioè con attrezzi, procedure e materiali d’epoca – di una delle più gradi navi costruite nel dicottesimo secolo. Fu varata nel 1738 e alla sua costruzione lavorarono circa 200 persone per 18 mesi (un tempo record che ha dell’incredibile e che oggi probabilmente non riusciremmo a replicare). Purtoppo dopo pochi anni di attività sulle rotte della Cina la nave finì sugli scogli di Nya Älvsborgs Fästning (oggi la Fortezza di Älvsborg).

Il museo di Älvängen è un museo ‘vivo’ che promupve una certa attività produttiva e commerciale. A oggi la Indiaman Götheborg è il cliente principale e una grande sfida per il museo perchè ha dovuto affrontare un ordine per 27.000 chili di cordame per la nave e non è poco!

Älvängen è un paesino di poco più di 4.000 anime.
Eppure riescono a fare queste cose e le fanno con passione.

Noi no.

InCanto

Sabato 12 dicembre Faro Venezia festeggia, con Rete Faro Italia, la ratifica della Convenzione di Faro. “InCanto-Canzoni da battello e Remeri” è il video che dedichiamo al patrimonio immateriale della Laguna.
Artigiani e artisti cantano Venezia in questo momento di silenzio sospeso.
Canzoni da battello da manoscritti originali del 700, una riproposta della musicista e ricercatrice Rachele Colombo (canto, chitarra e liuto) e Marco Rosa Salva (flauti). Con una intervista a Saverio Pastor, Remer.

Location, Bottega “Le Forcole” Venezia.

Repertorio musicale inciso nel doppio CDBook di Rachele Colombo “CANTAR VENEZIA Canzoni da battello” – Edizioni NOTA
[Premio Nazionale Città di Loano per la musica popolare italiana]

Riprese audio e video: Achille Zoni e marco Turconi
Montaggio: Achille Zoni

CASABIANCA

Negli ultimi anni il pensiero economico ha colonizzato tutti gli ambiti della vita sociale divenendo pensiero “unico”, cioè egemone in senso gramsciano. Questo significa che qualunque tipo di iniziativa o esperienza umana, per essere considerata rilevante, deve dimostrare di produrre utili monetari. La “valorizzazione” dei beni culturali non fa eccezione, si tratta di venderli o trasformarli in alberghi o in attrattori per il turismo di massa.

Ad esempio secondo Riccardo Carpino, attuale direttore dell’Agenzia del Demanio, il suo compito è semplice e chiaro: si tratta di trasformare il Demanio una sorta mega agenzia d’affari.

“Io dico che ora il Demanio deve mettersi a vendere. (…)
Mettendo cose nuove e nuove modalità di vendita, andremo avanti.
La sfida è trasformare l’Agenzia del Demanio da fornitore di provvista a operatore che si mette in gioco anche nella vendita”. (da: Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2019, Pronto il piano del Demanio: 1.500 beni in vendita )

Ma vi sono sempre sacche di resistenza umana che operano quasi come il gruppo clandestino di memorizzatori di libri in Fahrenheit 451.

Casabianca mette in evidenza una di queste forme di pensiero non-unico, cioè il pensiero estetico.

Nulla di romantico o contemplativo. Il pensiero estetico è una forma specializzata di conoscenza, come la matematica, la storia, la biologia. Ha un suo campo specifico e modalità di funzionamento individuabili e sopratutto insegnabili. Il suo valore consiste nell’essere una scuola di libertà. Favorisce i processi di soggettivazione che portano alla formazione di persone adulte libere.

Anna Martinatti e Reda Berrada ci raccontano con semplicità e chiarezza la genesi delle loro installazioni site-specific all’interno di una fortezza abbandonata al Lido di Venezia, la Batteria Casabianca (o Ca’ Bianca) Angelo Emo. Si tratta di un luogo ricco di fascino capace di suscitare curiosità, pensieri ed emozioni in tutti quelli che lo scoprono.

Due persone diverse hanno avuto reazioni, emozioni e idee diverse e da queste hanno costruito oggetti e situazioni capaci di comunicarle ad altri. In questo senso la conoscenza estetica può essere considerata un linguaggio, ma un linguaggio che non si basa su un vocabolario di significati definiti, ma costruisce invece significanti aperti che “chiamano” le persone al attivarsi per costruirne il senso.

Si vede qui la differenza del funzionamento del pensiero estetico rispetto a quello storico. La storia tende a passivizzare le persone perché il lavoro di ricostruzione della storia di un luogo è un compito da specialisti. Il risultato di questo lavoro può essere molto interessante e informativo, ma non attiva le capacità creative autonome delle persone.

C’è un giudice a Berlino! Le pesanti accuse del TAR all’Agenzia del Demanio di Venezia sul caso Poveglia

Lo scorso 8 marzo 2018 il Tribunale Amministrativo ha accolto il ricorso dell’ Associazione Poveglia per Tutti contro l’Agenzia del Demanio di Venezia che aveva respinto la loro richiesta di prendersi cura dell’isola, con fondi propri, e per un periodo limitato di tempo. La storia dell’Associazione è ormai lunga e molto significativa sul tema di come può formarsi una comunità patrimoniale forte e molto motivata. Non riassumo qui questa storia. Chi non la conosce può seguire i links a fondo pagina che la ricostruiscono in breve.

La cosa rilevante qui non è tanto il fatto di avere vinto un ricorso, cosa che capta molto spesso alle associazioni civiche; sono le motivazioni della sentenza ad essere clamorose. In pratica il TAR accusa l’Agenzia del Demanio di ogni nefandezza possibile e immaginabile.

La sentenza originale completa si può leggere qui.

Le motivazioni

Riassumo qui in punti salienti delle motivazioni della sentenza in basic italian in modo che sia tutto più chiaro. Secondo il TAR il rifiuto del Demanio:

  • É privo di motivazione, non indicando alcun presupposto di fatto ed alcuna ragione giuridica che abbia determinato il diniego di concessione.
  • Nasconde i motivi del rifiuto.
  • Rivela un eccesso di potere perchè la domanda è respinta in base a motivazioni del tutto estranee al merito della domanda nstessa.
  • Rivela un eccesso di potere (di nuovo) perché il rifiuto richiama la necessità di sentire il parere del sindaco, cosa del tutto falsa.
  • Rivela un eccesso di potere, (ancòra) perché il Demanio ha posto sulle stesso piano la richiesta dell’Associazione- realmente esistente dettagliata e motivata – con altre generiche “manifestazioni di interesse” provenienti da altri soggetti, sostanzialmente inesistenti.
  • Dimostra irragionevolezza e manifesta contraddittorietà del diniego. L’agenzia infatti rinuncerebbe ad ottenere dalla ricorrete opere e attività rientranti tra i suoi compiti di legge. Che non ha mai realizzato.
  • Dimostra la volontà di perdere tempo, tirala in lungo deliberatamente, per (“mera presa di tempo da parte della P.A., con un atto sostanzialmente soprassessorio”).

Il rifiuto del Demanio contrasta inoltre con il regolamento per la concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato  (art. 9 del d.P.R. n. 296/2005) dove si stabilisce che “possono essere oggetto di concessione ovvero di locazione, in favore dei soggetti di cui agli articoli 10 e 11, rispettivamente a titolo gratuito ovvero a canone agevolato, per finalità di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale, gli immobili di cui all’articolo 1, gestiti dall’Agenzia del demanio”.

Si tratta di motivazioni pesantissime, che distruggono completamente la credibilità dell’Agenzia del Demanio, che – ricordiamolo– è una agenzia dello stato che amministra beni pubblici, cioè appartenenti a tutti noi e lo deve fare per nostro conto , non contro di noi.

L’Agenzia ha dimostrato, come minimo, di non avere le capacità professionali adeguate al compiuto che deve svolgere. Ma ha dimostrato anche un atteggiamento apertamente ostile e vessatorio (l’eccesso di potere) verso quei cittadini che – in ultima istanza – sono i suoi datori di lavoro.

Va notato che l’Agenzia è un “Ente Pubblico Economico (EPE). L’EPE è un soggetto giuridico autonomo che opera nell’ambito della Pubblica Amministrazione e che, per raggiungere i propri obiettivi, fa ricorso a modalità organizzative e strumenti operativi di tipo privatistico.”
Dunque se la sua organizzazione è di tipo privatistico, si può supporre che i dirigenti che si sono resi responsabili di una simile sequenza di errori e prepotenze se ne assumano la responsabilità e ne paghino le conseguenze.

O è pretendere troppo?

Links

Poveglia: l’isola che c’è
un breve post con due nostri video girati nell’aprile del 2014, quando la storia di della comunità patrimoniale di Poveglia era era appena iniziata. Uno è questo, che mostra l’ evidente entusiasmo che l’inziativa ha suscitato:

La storia dell’Associazione Poveglia per Tutti

‘Non svendete Poveglia’: il Tar dà ragione all’associazione che vuole proteggere l’isola”
Articolo su L’Espresso che riassume il caso.

Il TAR da regione ai 4550 veneziani del mondo
Articolo dell’ Associazione che commenta la sentenza del TAR

Nota
L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino?” aderiva dalla storia di un mugnaio di Postdan e dei sua moglie Rosina contro tutti i corrotti giudici per ottenere giustizia. E alla fine ci riesce. Leggi qui tutta la storia

Trailer per: “Tessuti sotto el felze”

Breve trailer per: “Tessuti sotto el felze”, Venezia, 27 ottobre 2017.
La storia completa degli ‘intrecci’ tra la produzione di tessuti pregiati a Venezia, i decori delle gondole e gli abiti dei nobili e della servitù negli ultimi 500 anni si trova in una specifica lezione della la prof. Doretta Davanzo Poli, storica del tessuto, che si può vedere a questo link

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Oltre al puro fascino dei tessuti pregiati e dell’ambiente di lavoro della tessitoria Bevilacqua, alcune cose meritano di essere esplicitate perché sono queste che rendono questi tipi di attività “patrimonio culturale” in senso stretto.

I telai utilizzati sono del tipo Jacquard, cioè programmabili attraverso un ingegnoso sistema di schede perforate. Questo tipo di telaio si diffuse agli inizia dell’800 grazie ai perfezionamenti introdotti da Joseph-Marie Jacquard su modelli più antichi. Già nella seconda metà del ‘4o0 infatti l’italiano Giovanni il Calabrese (Jean Le Calabrais) aveva costruito un prototipo che suscitò l’interesse di Luigi XI e ora si trova nel nel museo delle arti e dei mestieri a Parigi

Questo telaio fa parte quindi della storia dell’informatica, non solo della tessitura, e anche della storia dell’organizzazione del lavoro e della nascita dell’industria moderna. La sua introduzione in Francia sollevò infatti forti protesta da parte dei tessitori di Lione che temevano – con molte buone ragioni – di restare disoccupati.

Una parte dei macchinari utilizzati è anche concettualmente più antica e in quanto essi sono facilmente riconoscibili nelle tavole dell’enciclopedia di Diderot e d’Alembert (1751-1780) dedicate alla tessitura.

E’ interessante poi il modello imprenditoriale attuale della tessitura. Questa infatti è una dell pochissime che, avendo rifiutato qualunque tipo di innovazione successiva al telaio Jacquard, ha invece innovato il suo modello di business che ora è del tutto post-moderno. Il valore dei prodotti infatti è un mix di valore estetico e culturale. Conta molto infatti per i clienti sapere il “come e da chi” sono stati prodotti i tessuti, che quindi non sono solamente oggetti, ma incorporano storia, cultura la ‘faccia’ del produttore.

In un certo senso la storia imprenditoriale di questa azienda (e delle altre dello stesso tipo) è paradossale: è nata come modello di innovazione tecnica e ha avviato la prima rivoluzione industriale. Poi è diventata radicalmente contraria all’innovazione tecnica. Infine è divenuta post-moderna in quanto vende più “significati” che prodotti.

Una altro paradosso è che oggi sia considerata un modello di attività artigianale proprio un’azienda che è il prototipo stesso dell’innovazione industriale.

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Links per approfondimenti

Il telaio Jaquard (‘800),
Il telaio programmabile che fa parte della storia dell’informatica, raccontato in un’intervista intervista con Alberto Bevilacqua – CEO Tessiture Luigi Bevilacqua dal 1875 a Venezia.

Il velluto soprarizzo
Intervista con Silvia Longo – tessitrice presso Bevilacqua in Venezia.

Le ottime foto di Blu Oscar:
http://bluoscar.blogspot.it/search?q=Tessitura+Luigi

Le tavole dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert che illustrano le tecniche per la produzione di passamanerie e tessuti.

La storia completa degli ‘intrecci’ tra la produzione di tessuti pregiati a Venezia, i decori delle gondole e gli abiti di nobili e servitù. Intervista con Doretta Davanzo Poli, storica del tessuto.

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Testi e immagini: Doretta Davanzo Poli
Video: Adriano Devita
Grafica: immagini Michela Scibilia e Aadriano Devita
Grafica: Michela Sciblia
Musica: Vivaldi, Concerto per violoncello RV 423

Prodotto da El Felze
in collaborazione con Faro Venezia, Venezia, 2017

Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia
(CC BY-NC-SA 3.0 IT)
https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/it/

Il segreto dei fabbri a Venezia

Che cosa c’è di più materiale del lavoro del fabbro?
Eppure gli aspetti intangibili in fondo prevalgono se si parla di heritage e artigianato d’arte.

Alessandro Ervas ci racconta come il lavoro del fabbro a Venezia entra in profonda relazione con la città stessa. Da tempo è diventato quasi un luogo comune dire che l’artigiano di qualità fa cultura. Ma di fronte alla richiesto di esplicitare meglio in che cose consiste questo “fare cultura” la maggio parte delle persone fa scena muta. Si può capire la difficoltà perché “cultura” ha molti significati diversi, ma la difficoltà maggiore probabilmente consiste nel fatto che la nostra cultura (in senso antropologico) è come l’acqua per i pesci: la diamo per scontata e non ne siamo consapevoli.

Per questi i motivi è particolarmente apprezzabile questo intervento di Alessandro Ervas sull’arte dei fabbri. Qui si mettono in evidenza alcuni temi che definiscono molto chiaramente il “fare cultura” del fabbro e di tutti gli artigiano d’arte. Il suo discorso è complesso ma i temi principali in breve, sono questi:

Venezia come ambiente-scuola permanente per gli artigiani e artigiani come ‘mattoni’ della città che hanno costruito.

Artigianato come linguaggio e innovazione come arricchimento delle sue possibilità linguistiche (non come tecnologia sostitutiva dell’artigiano)

Superare le due ignoranze quella del pensare senza saper agire e quella del fare cieco e inconsapevole; divisone tipica dell’impostazione idealistica delle nostre scuole, mai superata e neppure mai veramente messa in discussione.

Il saper guardare come competenza essenziale, in una città dove ogni minimo particolare rivela una creatività infinita sia sul pano estetico che su quello tecnico, mai separati e separabili tra loro.

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Progetto ATENA, workshop iniziale:
“Sostenibilità e sviluppo dell’artigianato tradizionale in una città d’acqua”

La cacciata dell’artigianato dai centri storici: che fare?

Da tempo si levano lamenti sulla cacciata dai centri storici della nostre città dell’artigianato d’arte, storico, legato all’heritage dei luoghi. Un tema molto sentito a Venezia, che centro storico non è, ma città d’acqua e potrebbe essere anche città del futuro, se i politici – e chi li elegge – volessero.

Ma i lamenti e la solidarietà a parole non bastano e il tempo stringe. Ogni giorno che passa scopre un artigiano e arriva una bottega di di paccottaglia “tutto a un euro” alimentate da un distruttivo turismo di massa che non conosce limiti.

Teniamo ben presente che viviamo in una società iper-liberista. Questo vuol dire che se un’azienda funziona bene, se no che chiuda. Vuol dire anche che si vuole evitare la scomparsa di certi tipi di artigianato perché hanno un valore storico, culturale, sociale, educativo ed estetico è necessario un intervento pubblico anti-mercato. Non mi pare che esita una chiara consapevolezza diffusa su questo punto, ma senza di essa non resta che lamentarsi a vuoto.

Ma c’è che prova ad auto-organizzarsi e ad avanzare proposte concrete. Non vuol dire che qualcuno le ascolti, non ancora, ma comunque ci sono. Ecco allora questi due video.

Nel primo si vede racconta che cos’è El Felze,l’Associazione veneziana dei mestieri che ruotano attorno alla Gondola.

Nel secondo El Felze illustra le sue proposte, che si sono sviluppare in primo luogo sulla situazione dei suoi soci, ma che hanno un valore molto più ampio e riguardano tutti gli artigiani di un certo tipo.

Gli artigiani della gondola

Tra i non-veneziani pochi si rendono conto che il sistema-gondola è una piccola industria che occupa più di 600 persone, in prevalenza gondolieri e sostituti. Tra questi ci sono gli artigiani che la costruiscono, decorano, mantengono. Ci sono 11 specializzazioni artigiane che lavorano sulla gondola, generalmente in modo non esclusivo.

Saverio Pastor, presidente di El Felze ha colto l’occasione del seminario di avvio del progetto ATENA per fare il punto sullo stato di salute di questi mestieri. Si tratta di una sintesi pubblica, forse unica, aggiornata al settembre 2017, che ha valore anche per tutti gli altri mestieri artigiani attivi nella città d’acqua, che vivono problematiche molto simili.

Ecco i mestieri della gondola:

Squearòli
(ostruiscono le gondole e altre imbarcazioni)
Remèri
(fabbricano i remi e le forcole)
Intagliadòri
(intagliano nel legno i fregi decorativi)
Fravi
(fabbri che forgiano le parti metalliche)
Fondidòri
(fanno fusioni su stampo)
Battilòro
fabbricano la foglia d’oro per i fregi)
Doradòri
(applicano la foglia d’oro sui fregi)
Tapessièri
(realizzano le tapezzerie, a volte preziose)
Bartèri
(fabbricano i tipici berretti da gondoliere)
Sartòri
(sarti che fabbricano le divise dei gondolieri)
Caleghéri
(calzolai che fabbricano la calzature tipiche dei gondolieri)

Le proposte di El Felze

Non vogliamo finanziamenti a pioggia o aiuti particolari ma poter lavorare testimoniando quanto ereditato dai nostri antesignani; se noi siamo portatori di Patrimoni culturali e questi sono patrimoni collettivi dovrebbe essere la collettività ad assumersene, almeno in parte, la responsabilità.

Per il futuro anche delle nostre aziende sembra ora necessario un marketing endogeno fatto di management, aggiornamento mediante l’approccio alle nuove tecnologie e un salutare passaggio generazionale. Tutto ciò non ci risulta semplice e così tentenniamo tra le sicurezze della tradizione e una curiosità verso un futuro affascinante ma incerto. Uscire da soli da questo dilemma sembra impossibile. Se però parliamo di PCI quale ruolo ha la società? La comunità patrimoniale? La politica? La P.A.? Il Consiglio d’Europa e l’Europa stessa? Quale può essere il marketing esogeno che ci aiuti a trovare le soluzioni operative praticabili che ricerchiamo?

Come Comunità Patrimoniale dovremmo pensare alla Valorizzazione dei nostri mestieri per far conoscere il nostro patrimonio; al Sostegno dei nostri “portatori di PCI” (gli Artigiani), perché essi contribuiscono a migliorare la società testimoniando pensieri, saperi, creatività e manualità; alla creazione di un Ambiente socioeconomico accogliente per le nostre imprese.

1) Per la valorizzazione si può immaginare di:
– arrivare finalmente alla candidatura dei mestieri della gondola nella lista UNESCO per il PCI (Patrimonio Culturale Intangibile)
– estendere il Marchio della Cantieristica tradizionale anche alle imprese dell’indotto;
– creare un marchio specifico per la gondola, con disciplinari appositi;
– creare una rete del PCI veneziano tra Cantieristica/Restauro/Tessitoria/Scuole Grandi
– migliorare il sistema museale veneziano2;

2) Varie le forme di sostegno che possiamo immaginare:
Finanziamento:
– ancora della legge regionale 1/96 come incentivo all’acquisto di barche e accessori;
– per adeguamento sedi;
– per aggiornamenti specifici anche di nuove tecnologie;
– di nuovi progetti di ricostruzione filologica di imbarcazioni e di archeologia sperimentale;

Nuova normativa per assegnazione lavori:
– con gare non più al ribasso ma almeno con media mediata;
– ipotizzare assegnazione di punteggi legati al valore PCI;
– scelta delle P.A. verso prodotti della nostra tradizione;

Sostegno alla formazione non con scuole ma consentendo il lavoro:
– deroghe per normative fuori scala per le piccole imprese nei centri storici;
– sgravi per le ditte che assumono e che dedicano tempo alla formazione degli apprendisti.

3) L’ambiente che immaginiamo prevede:
un Centro Storico che ritorni il centro commerciale e produttivo;
un mercato immobiliare mitigato da:
– contributi per gli affitti
– blocco degli sfratti
– blocco cambi destinazione d’uso da artigianato ad altro
– acconsentire cambi di destinazione d’uso che riporti gli artigiani in centro

Queste sono le nostre proposte operative e possono essere allargate anche ad altri settori dell’artigianato. Non sono novità ma fa sempre bene ricordare quanto da anni molti di noi chiedono.

Tutti video del progetto ATENA  sugli artigiani di Venezia

Perchè l’Arsenale

Per Domenica 9 settembre: Visita ai luoghi nascosti dell’Arsenale:
incontri e dialogo con testimoni significativi.  Per l’occasione riproponiamo un breve video in cui Paolo Lanapoppi chiarisce il significato e l’importanza di questo luogo magico.

Qui si vede chiaramente l’ambiguità del concetto di valorizzazione, oggi talmente abusato da significare tutto e il contrario di tutto.

Per chi vuole partecipare, il programma e i dettagli si trovano qui

Due giardini da scoprire

Giardino delle vergini

Non molti si sanno dell’esistenza di questi due magnifici giardini. Meno ancora sono saliti sulla terrazza della Torre di Porta Nuova da cui si gode una vista impagabile su tutta la città.

Domenica prossima avremo modo di scoprire molte cose, compresi i regimi di accessibilità di questi spazi che sono molto più aperti di quanto si creda.

Le vista – organizzata dal Forum Futuro Arsenale – è lunga, ma si può partecipare anche solo al mattino oppure solo al pomeriggio. Benvenuti i bambini, che potranno fare anche un giro in barca a remi nella Darsena Grande dell’Arsenale, normalmente chiusa l pubblico in quanto zona militare.

Programma

10.00 – Incontro in Campo Ruga
10.30 – Visita guidata al Giardino delle Vergini con illustrazione delle opere esposte e degli interventi nel giardino, a cura della Biennale di Architettura.
12.00 – Traghetto dall’Arsenale sud all’Arsenale nord, con il servizio navetta o con le imbarcazioni delle remiere. Per chi lo desidera, giro della Darsena Grande in barca a remi.

12.30 – Pranzo autogestito sulla banchina nord.

14.00 – Visita guidata al Giardino Thetis, a cura di Thetis
15.00 – Visita guidata ai tre Bacini di Carenaggio, a cura del CVN.
17.00 – Aspettando il tramonto, sulla terrazza della Torre di Porta Nuova

Ecco la torre di Porta Nuova com’era quando serviva ad armare gli alberi per le navi costruite in Arsenale. Oggi non è molto diversa, ma è perfettamente restaurata.

torre porta nuova

 Modalità di partecipazione

Non è necessaria la prenotazione. Lʼiniziativa è aperta a tutti ed è gratuita, ma sarebbe opportuno sapere quante persone saranno presenti, per cui ci fate una cortesia se comunicate la vostra presenza a: segreteria@futuroarsenale.org

o anche utilizzando il form in fondo a questa pagina.

Pranzo autogestito vuol dire portarsi il proprio cibo, ma c’è sempre il bar aperto sul lato nord per bevande, panini, toast gelati ecc. e i servizi igienici.

Come arrivare

La cosa più semplice è scendere alla fermata Arsenale con il battello e percorrere tutta la Via Garibaldi. Poi Calli & Callette, ma non vi perdete, il percorso è breve (10 minuti) e basta seguire questa mappa:

percorso Campo RUGA

OK ci sarò:

 

FORT-IN-FEST – Festival dell’inclusione – Venezia

FORT in FEST è un festival che coinvolge un’ampia rete di associazioni per per promuovere l’incontro tra le diversità culturali, sociali ed artistiche e l’accesso alla cultura nelle aree più periferiche della città metropolitana di Venezia.

In questa intervista, Alessandra Manzini, ideatrice del festival espone il senso del progetto culturale che sta alla base dell’iniziativa.

Non si tratta infatti di recuperare un luogo nel senso di restaurare gli edifici e curare le aree verdi. Si tratta di rendere questi luoghi utili per il miglioramento della qualità della vita delle persone che che vivono nella zona e che vi attribuiscono un valore è formato da un insieme di significati condivisi. Solo in questo modo le gestione economica viene riportata alla sua natura di mezzo e non di scopo ultimo qualunque cosa.

C’è poi l’idea di utilizzare le attività artistiche e artigianali come occasione di dialogo interculturale. Chi condivide quest tipo di capacità e attitudini infatti supera facilmente ogni barriera di tipo linguistico e culturale perché tra simili ci si riconosce con facilità.
In un’ epoca di violenza e incapacità di relazione crescenti questo tipo di iniziative è di vitale importanza se vogliamo restare umani.

Sul Festival

FORT in FEST è un festival che coinvolge una piattaforma di associazioni per per promuovere l’incontro tra le diversità culturali, sociali ed artistiche e l’accesso alla cultura nelle aree più periferiche della città metropolitana di Venezia.

FORT in FEST nasce dalla volontà di rivitalizzare le fortificazioni veneziane e le relazioni nei quartieri circostanti attraverso l’arte e le cultura. I Forti sono da sempre spazi pubblici chiusi, avamposti militari simbolo della paura del nemico e delle straniero, che da vent’anni vivono processi di dismissione. In alcuni sono stati oggetto casi di rivitalizzazione grazie al lavoro volontario di associazioni sul territorio ma i forti in laguna sono ancora in stato di abbandono.

FORT in FEST vuole avviare una riflessione attorno al potere dell’arte performativa di decostruire la percezione dell’alterità come nemica, immaginando assieme alle comunità presenti sul territorio di trasformarli in luoghi di espressione delle diversità che contraddistinguono i rapidi cambiamenti della società contemporanea. La rassegna si è svolta in quattro fortificazioni veneziane:

– Forte Poerio a Mira (VE),
– Forte Marghera (VE)
– Batteria Ca’ Bianca al Lido di Venezia (riperta dopo vent’anni di abbandono)
– Caserma Pepe/Chiostro EIUC S.Nicolò, sempre al Lido di Venezia

Le aperture della Batteria Ca’ Bianca e della Caserma Pepe sono state possibili grazie al coinvolgimento di una rete di soggetti locali per acciare un modello di gestione che sappia valorizzare le valenze paesaggistiche e culturali di questi luoghi, non trascurando i processi di rinaturalizzazione in atto e di diversificazione della società contemporanea.

Per realizzare il festival tutte le consulenze sono state freelance per l’autofinanziamento dell’Edizione zero. Grazie a tutte le persone che hanno contribuito a far partire questa avventura. Se volete sostenerci scriveteci:

CONTATTI:
Alessandra Manzini
fortinfestival@gmail.com
www.fortinfest.org

Video-making:
Adriano Devita e Alessandra Manzini

Batteria Casabianca, Lido (VE) – cenno storico

Danilela Milani Vianello, storica e giornalista, chi racconta brevemente la storia della Batteria Ca’ Bianca – Forte Emo sulla base della scarsa documentazione disponibile. Abbiamo realizzato l’intervista nel corso della prima apertura della Batteria a cura di In-Diversity Onluls e altri, il 9 luglio 2016. Su Vimeo troverete anche una sintesi scritta della storia del luogo.

La batteria è il tipico oggetto problematico come ce ne sono molti in Italia e nel mondo. Un luogo molto bello e ricco di storia ma abbandonato da anni e “scomparso” dalla percezione anche delle persone che abitano nelle vicinanze.

Mappa EMO grande 4

Negli ultimi anni è aumentata la sensibilità di tutti nei confronti di questi luoghi e il desiderio di valorizzarli. Ma come fare? Non è affatto semplice e non solo per il costo dei necessari interventi di restauro. Il problema vero è il “come” valorizzarli, a vantaggio di chì? Con quali mezzi e con quale modello di sostenibilità nel tempo?

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E’ l’idea stessa di “valorizzazione” ad essere ancora ambigua e poco condivisa.

Vista l’occasione vi propongo anche una lettura impegnativa. Si tratta della bella tesi di laurea di Rosangela Saputo, (tesi di laurea, 2014, Ca’ Foscari) intitolata:

Disarmo culturale: l’arte-cultura come “riempimento” delle aree dismesse ex militari.

Il suo lavoro ruota attorno ad alcune domande chiave:

  • L’arte/cultura può rappresentare una soluzione per i vuoti territoriali?
  • Si tratta di una formula “pacchetto arte-cultura” dentro un “contenitore” dismesso?
  • Si può applicare in maniera meccanica a tutti i contesti?
  • La totalità degli artisti desiderano questi spazi? E soprattutto li abitano dietro volontà di una qualche politica? O si tratta piuttosto di una “vocazione” della comunità locale?

Il testo può essere letto in modo trasversale ricercando gli stessi nuclei tematici che si ripongono nei vari capitoli da punti di vista diversi. Questo è lo schema di sintesi:

Tesi caputo schema di lettura

La tesi completa può scaricare da qui

In-Diversity Onluls ha curato la prima apertura della batteria nell’ambito di un progetto più articolato che si è svolto in quattro forti veneziani:

Fort-In-Fest: http://www.fortinfest.org/.

Per realizzare il festival tutte le consulenze sono state freelance per l’autofinanziamento dell’Edizione zero. Grazie a tutte le persone che hanno contribuito a far partire questa avventura. Se volete sostenerci, scriveteci: a fortinfestival@gmail.com

ZOGA! Le mani sulla città

Come fare per informare e stimolare quella grande parte della cittadinanza che si dimostra passiva i insofferente verso le sorti del luogo dove vive? Seminari e conferenze servono a poco perché vi partecipano sempre le stesse persone, quelle già attive. Qui c’è una giovane compagnia teatrale che ci prova con mezzi che sono loro propri.

“Zoga! Mani sulla città” vuole coinvolgere studenti universitari e coloro che s’impegnano attivamente tramite l’associazionismo contro il declino di Venezia facendoli partecipare a un vero e proprio gioco di ruolo. Una partita che rimette le decisioni fondamentali per il futuro della città alle performance di quattro squadre: Turisti, Anziani, Studenti e Commercianti. Chi conquisterà Venezia? Solo chi proporrà la performance più convincente. Con “Zoga! Mani sulla città” fare teatro diventa davvero un atto politico.

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Perché è interessante per noi?
la lista è lunga:

Interpretando un ruolo ci si deve mettere al posto di un altro e “impadronirsi” delle sue ragioni e punti di vista. Di solito non lo facciamo e questo è un grande ostacolo per ogni forma di partecipazione e collaborazione.

Si trattano questioni molto serie senza essere noiosi. Confondere la serietà con la noia è un errore comune che ci deriva da spesso da certe disastrose esperienze scolastiche. Ma fare teatro ci si diverte e si è molto seri contemporaneamente.

I partecipanti a volte scoprono di avere talenti che non sapevano di avere.

Di solito chi vuole partecipare attivamente al governo della sua città è piuttosto anziano. Qui invece sono quasi tutti molto giovani.

C’è il tentativo di una piccola compagnia teatrale di radicarsi in città. Venezia è una città che fa scappare i residenti a causa specialmente dell’altissimo costo della residenza dovuto ad una pressione turistica incontrollata. Qui però c’è un gruppo di giovani che studia o ha studiato a Venezia e che vorrebbero poterci vivere lavorando come professionisti del teatro.

Dopo varie giornate di preparazione la prima dell spettacolo si terrà al Teatro Goldoni il 14 maggio 2016 alle 20,30

Interviste a:
Flavia Antonini
Alessia Cacco
Jacopo Giacomoni

Video a cura di:
Adriano De Vita – Faro Venezia

Links:

L’archivio di stato di Venezia

La dottoressa Claudia Salamini ci guida all’interno dell’archivio, in luoghi che non sono normalmente aperti al pubblico.

L’Archivio di Stato di Venezia venne istituito nel 1815 con il nome di Archivio generale veneto. Contiene circa 70 km di scaffalature ed è costituito da oltre 800 fondi documentali. All’interno di questi fondi si trovano talvolta centinaia di altri archivi, come avviene nel caso delle corporazioni di mestiere, delle confraternite e dei notai.

L’Archivio non documenta solo la storia della Repubblica Serenissima e dei territori italiani, dell’Istria, della Dalmazia e del Levante che ne facevano parte, ma di tutto il mondo che intratteneva con Venezia fitte relazioni diplomatiche e commerciali. Alle carte più antiche si sono aggiunte in seguito quelle del periodo napoleonico e dei governi austriaci.

Spesso i fascicoli dei documenti non sono mai stati consultati negli ultimi 100 anni. Vi sono quindi molte cose da scoprire per storici e ricercatori di ogni genere. Non è facile trovare le cose: si tratta di un lavoro da detective che comporta una approfondita conoscenza del modo in cui i documenti sono organizzati e catalogati.

Tra le altre cose – e a titolo di esempio – l’archivio conserva molti documenti originali di Aldo Manuzio (1449-1515) il tipografo ed editore veneziano che fondò l’editoria moderna introducendo l’uso della punteggiatura, i formati tascabili e molte altre innovazioni destinate a favorire enormemente la leggibilità dei testi e la portabilità dei libri.

I suoi documenti testimoniano anche l’attenzione che poneva (da vero imprenditore ante litteram) nel garantirsi una protezione legale per le sue innovazioni relative alle tecniche tipografiche e il diritto esclusivo di stampa sui testi: si tratta degli atti di nascita dei brevetti e del copyrigth.

Realizzato nel corso delle passeggiata patrimoniale:
La stampa, passato e futuro

L’unicità dell’Arsenale

Che differenza c’è tra il valorizzare un bene in senso economico e valorizzarlo in senso sociale culturale? Il destino dell’Arsenale di Venezia (e dell’intera città) si gioca tutto su questa differenza. Queste poche e chiare parole di Paolo Lanapoppi di Italia Nostra e Forum Futuro Arsenale, chiariscono il problema.

L’arsenale di Venezia è un Luogo unico al mondo
A differenza di un palazzo o una chiesa l’Arsenale è prime di tutto un luogo di lavoro ed è anche un luogo di straordinaria bellezza.

Da molti anni l’Arsenale è un luogo sostanzialmente chiuso ai veneziani, ma ora la sua proprietà è pubblica ed è possibile pensare alla sua valorizzazione.

Ma che cosa significa valorizzare un bene di questa rilevanza?

Il codice dei beni culturali afferma che la valorizzazione consiste nelle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura.

Si tratta di valorizzare la capacità che l’Arsenale ha oggi di mostrare la sua storia, ma anche un uso contemporaneo legato alle stesse modalità di utilizzo del passato.

La conoscenza della nostra storia è parte della cultura degli italiani. Cancellarla per avviarvi più redditizie attività commerciali significa cancellare la nostra identità e ridurre i cittadini in consumatori. Questa operazione è giù stata fatta a Venezia con il caso del Fontego dei Tedeschi e non è il caso di ripeterla.

Recuperare l’Arsenale alle sue funzioni produttive storiche significa prima di tutto fanne un centro di educazione cultura. Il costo di questo intervento deve essere visto in questa chiave: va sostenuto per lo stesso motivo per cui si sostiene le scuola pubblica e per tutti.

Intervista con Paolo Lanapoppi – Italia Nostra

Il progetto di valorizzazione di cui si parla nell’intervista di trova qui:
farovenezia.org/progetto-arsenale/progetto-arsenale/

Video di: Adriano De Vita – Faro Venezia
farovenezia.org/ – Per il Forum Futuro Arsenale

Materiale iconografico storico: IVESER
iveser.it/