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Patrimonio dissonante e divisività assoluta

A proposito di un articolo segnalato nel sito di Faro Venezia (Autore Lauso Zagato)

daniela ortiz, patrimonio controverso o dissonante

1. Un importante intervento dell’artista peruviana Daniela Ortiz

La scorsa primavera è stato meritoriamente inserito nel sito di Faro Venezia il richiamo ad un articolo pubblicato dal Manifesto al tempo della sindemia, nei mesi finali del 20211; si tratta dell’intervista all’artista peruviana Daniela Ortiz da parte dalla giornalista Lucrezia Ortolani a proposito del significato del patrimonio dissonante di origine coloniale oggi.

Ciò conferma l’attenzione di Faro Venezia per un problema nodale del patrimonio culturale tutto, (tangibile e non), attenzione del resto desumibile dal fatto che una delle FAQ dedicate dall’Associazione alla Convenzione di Faro, la 12 (II), è dedicata proprio alla nozione di patrimonio dissonante. Invero, la radicalità dei problemi in gioco configge con la pericolosa conferma di una tradizione improntata ad un rigido conservazionismo nei confronti del patrimonio ereditato.

Dice la Ortiz all’inizio della sua intervista, “vogliono mantenere viva la tradizione colonialista, la conservazione del patrimonio è solo una scusa”. Non sono del tutto sicuro dell’esattezza della seconda parte del ragionamento, nel senso che spesso non si tratta di scuse, ma di una adamantina certezza nella sacralità e ad un tempo neutralità delle vestigia patrimoniali2, di qualsiasi origine e natura. L’effetto comunque non è diverso: un patrimonio, materiale e non, e dietro a questo un blocco di memorie legate a determinate epoche e fasi storiche, e ideologie al tempo dominanti, devono a detta del pensiero dominante essere mantenuti come tali in nome della supposta neutralità dell’arte. Ripeto, quando una simile posizione è portata avanti dai cultori della conservazione dura e pura, sempre e dovunque, ne va rispettata la coerenza. Peraltro, abbiamo avuto tutti agio di notare come in vari casi siano proprio quanti si dichiarano a favore di un approccio cosiddetto liberista in materia, per cui tutto risulta sacrificabile alla globalizzazione delle arti e delle culture (e soprattutto dei commerci in tale ambito) a porre un rigido caveat ove vengano messi in discussione quei profili patrimoniali che più drammaticamente simboleggiano l’avventura spaventosa dell’Europa nei secoli della conquista.

2. La lezione della professoressa Ben Ghiat: Davvero l’eredità monumentale del fascismo sarebbe costituita da “merely depoliticized aethyetica objects” (oggetti di valore estetico ormai privi di valenza politica)”?

Di qua la doverosa presa di distanza, a mio giudizio, dalla (troppo) ampia levata di scudi, al limite dell’indignazione, che ha accolto a suo tempo in Italia la pubblicazione dell’articolo della professoressa Ben Ghiat’3. Cosa diceva di così dissacrante la studiosa americana? Non accusava la cultura italiana di essere ancora impregnata di fascismo (e in questo era casomai troppo ottimista, alla luce della cupa realtà attuale del nostro Paese). Il suo punto era che la cultura italiana trattava l’eredità monumentale del fascismo come “merely depoliticized aesthetic objects”, con l’effetto di non comprenderne la valenza politica, che peraltro rimaneva (e rimane) ben chiara ai gruppi di estrema destra4.

Vi è allora da augurarci che l’apertura al tema del sito di Faro Venezia, dando spazio alla chiarezza della presa di posizione da parte dell’artista peruviana, possa contribuisca allo sviluppo di un dibattito non limitato ai professionisti del patrimonio, ma che attraversi le comunità patrimoniali, a partire da quelle più vicine alla nostra esperienza, riconducibili al circuito veneto/lagunare.

3. Faro Venezia e Alleanza Una Venezia: definizioni a confronto

Mi soffermerei piuttosto sulla Risposta alla Faq 12 (II), di Faro Venezia (la Risposta, a seguire). Questa definisce patrimonio dissonante (o controverso) “un oggetto patrimoniale che può dare origine ad interpretazioni patrimoniali conflittuali o comunque in contrasto fra loro, da parte di gruppi socio-culturali diversi o dello stesso gruppo che cambia idea nel corso del tempo, oppure ancora di gruppi che dispongono di livelli di potere diversi”. Nel prosieguo, la Risposta individua le tre varianti della nozione: dissonanza sincronica, diacronica, di potere. Mentre il significato delle prime due è in qualche modo evidente, e comunque ci tornerò oltre, sottolineo l’importanza dell’ultima. Con l’espressione dissonanza di potere ci si riferisce alla presenza o meno di élites dominanti che abbiano il potere di definire cosa è e cosa non è patrimonio culturale. Una variante della dissonanza di potere riguarda la questione dell’inserimento o meno di espressioni culturali nelle varie Liste del patrimonio disciplinate dalle Convenzioni dell’UNESCO. Si aprono qui complesse interrelazioni tra il potere dei diversi Stati interessati (e delle entità sub-statuali) nel loro rapporto sempre difficile, spesso conflittuale, con le comunità viventi da un lato, con gli apparati delle organizzazioni internazionali dall’altro lato.

Non è un caso a mio avviso che proprio una associazione legata anche nel nome alla Convenzione di Faro e allo sviluppo delle comunità patrimoniali abbia saputo porre con chiarezza questa problema. Contro le aperture garantite da tale strumento giuridico /la CF intendo) ha mosso fin dall’inizio, e continua ad agire, un potere castale, onnipotente in alcuni Stati europei (che infatti non hanno ratificato la CF), ma operante anche in Stati che hanno scelto di ratificarla, operando in questo caso con il fine di renderne tendenzialmente nullo ogni possibile effetto concreto5.

Torniamo ora alla definizione di patrimonio dissonante data da Faro Venezia, considerandola nella sua interezza e confrontiamo questa definizione con quella fornita dall’alleanza Una Europa6. Questa si propone di cercare nuove chiavi di lettura (nonché strategie narrative), per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale dissonante inteso come “un patrimonio tangibile e intangibile che per il contesto storico in cui si è formato e i valori che esprimeva in passato è particolarmente difficile da raccontare e gestire”. Gli esempi fatti riguardano poi l’architettura coloniale e quella “voluta dai regimi totalitari”.

Prima di soffermarmi criticamente sul rapporto tra le due definizioni, sottolineo l’esistenza di un punto di confluenza tra loro: entrambe ci aiutano a fare chiarezza nel distinguere il fenomeno in esame dalla situazione del patrimonio conteso. Questa si verifica quando “due o più Stati, entità etnico-linguistiche, religiose, culturali, comunità di vario genere, entrano in conflitto circa l’appartenenza di un bene, di un sito, di singole (o di un complesso di) espressioni culturali, di cui le diverse Parti in causa si considerano legittime depositarie”7 per cause identitarie, di prestigio, economiche. Quest’ultimo è il caso della contesa tra Cambogia e Thailandia per il possesso del centro monumentale di Angkor Vat, contesa che ha conosciuto episodi, all’inizio del secolo, di vera e propria guerra. Nelle sue varianti, il patrimonio conteso rappresenta una situazione simmetrica a quella del patrimonio dissonante.

4. La forza dirompente delle divergenze: una (dura) ipotesi conclusiva

Fatta questa precisazione, a me pare che nel caso della definizione fornita da Una Europa siamo in presenza di una aspirazione, magari virtuosa, a ripulire la radicalità delle divergenze, che non tiene conto della forza dirompente, e operante anche al presente, di svariati fenomeni di dissonanza. La dissonanza in questa prospettiva si riduce così alla sua sola dimensione diacronica, riguarda ricadute al presente di fenomeni passati. Ma quid se la dissonanza è invece sincronica e, soprattutto, se – come nelle situazioni più radicali – è insieme diacronica e sincronica? Il sospetto è che chi ha scelto di muoversi su questo terreno abbia in realtà già deciso cosa sia memoria vivente e cosa non abbia più altro che carattere residuale. Ci si potrebbe persino chiedere, con un po’ di malizia, se qualche volta gli aspiranti “facilitatori” non costituiscano essi stessi un esempio di dissonanza di potere rispetto ai portatori delle specifiche situazioni di dissonanze (sincronica, diacronica, sincronico/diacronica) vivente.

Mi fermo, non senza porre una domanda che chiarisce meglio il mio pensiero: quando ci troviamo in presenza di profili patrimoniali intrinsecamente legati all’orrore del colonialismo (ritornando alla Ortiz), e a quello della schiavitù, non sarebbe lecito parlare piuttosto che di patrimonio dissonante (o controverso), di patrimonio radicalmente divisivo (o contestato)? E quindi: quale dovrà essere il modo corretto di confrontarsi con simili espressioni patrimoniali, una volta scartata la pura e semplice distruzione, che finirebbe paradossalmente per giovare a chi quel passato cerca di cancellare?

Note

1 Lucrezia Ortolani, “Daniela Ortiz, il conflitto mai sopito dietro i monumenti”, ne Il Manifesto, 10 ottobre 2021.

2 In particolare quelle presenti nei territori metropolitani. Per un esempio invece della scarsa considerazione – per usare un eufemismo – di cui godettero, in Italia, le opere d’arte e i referti patrimoniali provenienti dal territorio coloniale, o comunque extra-europeo, v. Marta Nezzo, “L’altra rovina, appunti sul destino degli oggetti non europei durante la seconda guerra mondiale”, in Carmelo Bajamonte, Marta Nezzo (a cura di), Arte e guerra. Storie dal Risorgimento all’età contemporanea, il Poligrafo, Padova, 2021, pp. 207-219.

3 Ryth Ben-Ghiat, “Why so Many Fascist Monuments still Standing in Italy”, in New Yorker, October 5, 2017.

4 L’articolo mi capitò tra le mani solo anni dopo, e mi indusse a scrivere un intervento, poi pubblicato: Lauso Zagato, “Sul patrimonio culturale dissonante e/o divisivo”, in Dialoghi Mediterranei, n. 55, on-line dal 1 maggio 2022, www.istitutoeuroarabo.it/DM/sul-patrimonio-culturale-dissonante-eo-divisivo/. Peraltro alcune delle cose ivi scritte (eravamo nei mesi del “black lives matter”) crearono attorno a quella presa di posizione un imbarazzato silenzio, anche da parte di persone a me vicine come impianto culturale di riferimento …

5 Il discorso non è improntato a paranoia. Un esponente qualificato della nomenclatura culturale del nostro Paese scrisse qualche anno fa, senza mezzi termini, che per fortuna l’Italia non aveva ratificato la CF lo avesse fatto in futuro, che non c’era alcun bisogno che lo facesse, ma che se , che non c’era alcun bisogno che lo facesse, ma che se lo avesse fatto in futuro sotto la pressione di qualche gruppo politico, esistevano e andavano usati gli strumenti per neutralizzarne ogni possibile effetto devastante. In altre parole, in caso di ratifica, bisognava disinnescare l’ordigno.

6 UNIBO Magazine, 10 novembre 2021, Rileggere e riscoprire il patrimonio culturale “dissonante”, https://magazine.unibo.it/archivio/2021/11/10/rileggere-e-riscoprire-il-patrimonio-culturale-201dissonante201d.

7 Zagato L., op. cit.

Lo sguardo dell’artista sul patrimonio controverso

Che le passeggiate patrimoniali (e attvità simili) siano molto popolari è un fatto positivo. Che il 90% dei temi posti dalla Convezione di Faro siano quasi completamente ignorati dalle autorità e anche dalle Comunità Patrimoniali è un altro fatto, ma meno positivo. Uno di questi temi riguarda il patrimonio controverso o”dissonante” (FAQ 1.12 Faro Venezia). Il patrimonio dissonante è una cosa buona da pensare, come direbbe Levi-Strauss. Sorge inevitabile il dubbio che si eviti di discuterne proprio per questo motivo.

Poi però succede che il tema che esca fuori, all’improvviso, in luoghi e forme inaspettate, come i fiumi carsici e le risorgive. La prima di queste emersioni che vi segnalo è il breve video diffuso da poco dal canale arte.tv che introduce bene l’argomento e mette fuoco il ruolo dei musei come custodi del dissonante. Già questo rinnova non poco l’idea corrente di “museo”.

Ma una novità ancora maggiore ci arriva – pochi giorni dopo – dal lavoro di una giovane artista. Per quanto ne so la peruviana Daniela Ortiz è la prima ad affrontare la questione del patrimonio dissonante prendendola di petto e scardinando alla base l’alternativa del diavolo tra “lasciamo tutto com’è e “buttiamo giù tutto”.

Cittadella di Spandau – mostra “Enthüllt – Rivelato”

«Vogliono mantenere viva la narrazione colonialista, la conservazione del patrimonio è solo una scusa». «Volevamo smettere di considerare Roma una città con un passato talmente potente da sovrastarci e immobilizzarci, desideriamo mettere l’eredità in dialogo con l’arte contemporanea (…) perché la nostra riflessione è legata alla permanenza di quei simboli egemoni risalenti all’Impero romano e all’epoca fascista, crediamo che la questione del colonialismo italiano non sia stata affrontata adeguatamente»

“Ho cominciato più di dieci anni fa, quando ho notato la presenza di un indigeno inginocchiato alla base del monumento a Cristoforo Colombo a Barcellona. Mi ha colpito la sua rappresentazione così paternalistica e ho deciso di girare un video durante il 12 ottobre, la festa nazionale spagnola che commemora il giorno della scoperta dell’America – una celebrazione che peraltro non è stata istituita da Franco ma dal partito socialista negli anni ’80″

Il pensiero-azione, tipico delle performance artistiche, ci mostra come i modelli di pensiero che hanno dato origine ai beni controversi sono evolutivi e non statici. Il non-pensiero degli approcci ideologici è molto rigido e non tollera alcuna evoluzione. E’ proprio per superare questa rigidità, che genera violenza, che il patrimonio dissonante ci torna utile. Però si rischiano ritorsioni violente, anche in paese apparentemente democratici.

“Dopodiché ho cominciato a ricevere molte minacce sui social, come avviene a tutte le militanti anticolonialiste e antirazziste. La situazione è diventata più pesante quando ho scoperto che uno di questi gruppi mi stava monitorando ed era a conoscenza di numerosi dettagli della mia vita privata (…) ho capito che era troppo pericoloso restare. Così sono tornata in Perù.”

Le citazioni di Daniela Ortiz sono tratte da:
Daniela Ortiz, il conflitto mai sopito nascosto dietro i monumenti
Intervista. L’artista peruviana a Roma racconta la sua performance
https://ilmanifesto.it/daniela-ortiz-il-conflitto-mai-sopito-nascosto-dietro-i-monumenti/

Intervista video su LOCALES:
https://www.localesproject.org/agire-lo-spazio-pubblico-pratiche-artistiche-decoloniali/