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WORKSHOP “DISSONANZE”

Il 4 dicembre 2023 Faro Venezia ha realizzato questo workshop sull’idea e le esperienze connessa al concetto patrimonio dissonate o controverso. Si tratta di un tema centrale nella Convenzione di Faro, che si sta rivelando come uno dei più ricchi di implicazioni e sviluppi.

E’ stato fatto anche uno sforzo non indifferente per documentare gli interventi (in parte a distanza) per poterli poi divulgare più facilmente.

Coordinatore scientifico: Lauso Zagato
Organizzazione e video: Adriano Devita

Sentiti libero di utilizzare i materiali seguenti con la licenza Creative Commons seguente (come per tutte le cose pubblicate in questo sito):

Attribuzione – Non commerciale – CC BY-NC

Playlist completa sui Youtube

Links diretti ai singoli video

Adriano Devita: interi, integri, integralisti. Alle origini della violenza.
https://youtu.be/GB6tlDYKsgo?si=kBjW97iXRMjGfqoQ
Il patrimonio come fattore di salute mentale.

Lauso Zagato: il patrimonio culturale tra dissonanza e divisività
https://www.youtube.com/watch?v=L6m3-Kl1ryk
Le differenze tra dissonanza diacronica, sincronica e di potere.
Ampia carrellata di casi importanti che illustrano le differenze tra i diversi tipi di dissonanze.

Giuseppe Maino e Donatella Biagi Maino: elogio della dissonanza cognitiva
https://youtu.be/5F7qAgpA6Bg?si=P6khSADm8hEKr74_
Riflessioni che partono dalla teoria della dissonanza cognitiva che lo psicologo americano Leonard Festinger elaborò a partire dagli anni ’50.

Paola Cosma – Decolonize Your EyesPadova
https://youtu.be/SAj2X9_unbM
Padova, come tante altre città del nostro paese, ha molti riferimenti alle colonie italiane nell’odonomastica e nell’architettura. Non sono solo gruppi “dal basso” a cercare di ri-significare questi luoghi, ma a volte anche le istituzioni

Silvia Chiodi: patrimonio dissonante – osservazioni e temi critici
https://youtu.be/rd5J0nfpLbQ?si=8oP3ovQQd14rdpmr
La possibilità di dare interpretazioni diverse di uno stesso oggetto patrimoniale senza che questo generi censure o conflitti violenti è ciò che distingue una democrazia da una dittatura e ha un forte valore educativo.

I relatori

Adriano Devita, psicologo e antropologo. Si è occupato principalmente di programmi e progetti pilota di formazione di gestione della conoscenza per il sistema delle PMI e di politiche attive del lavoro. In campo culturale è socio fondatore di Faro Venezia, del Faro Lab, del Forum Futuro Arsenale e di altre comunità patrimoniali. E’ fondatore e direttore del Venice Intercutural Film Festival, che si occupa di dialogo interculturale. Il suo interesse principale ora riguarda i sistemi di democrazia partecipativa in campo culturale.

Lauso Zagato, già professore di diritto internazionale e UE, e direttore del centro studi sui diritti umani (CESTUDIR) Università Ca’ Foscari-Venezia. Nei due ultimi decenni si è occupato in particolare di protezione del patrimonio culturale nei conflitti armati e di salvaguardia del patrimonio culturale intangibile. Attualmente è membro di Faro Venezia e coordina il gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.).

Giuseppe Maino, fisico teorico, è autore di oltre 450 pubblicazioni scientifiche e quattro libri su argomenti di fisica nucleare e della materia condensata, di matematica applicata, di diagnostica non distruttiva applicata alle opere d’arte. Ho ideato e diretto progetti di ricerca nazionali ed europei, organizzato 39 convegni internazionali ed insegnato presso università italiane e straniere, oltre ad essere stato direttore di ricerca dell’ENEA, ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente.

Donatella Biagi Maino è professore associato di storia e teoria del restauro presso l’Università di Bologna. E’ autrice di monografie e saggi sulla pittura italiana del Seicento e Settecento; si occupa di conservazione e salvaguardia dei beni culturali a rischio e su questi temi ha coordinato progetti di ricerca e organizzato convegni internazionali di studi, oltre a condirigere la collana di volumi di Storia e Teoria del Restauro presso l’editrice EDIFIR di Firenze.

Paola Cosma è una ricercatrice, attivista e regista indipendente. Si è laureata in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale con una tesi Figure femminili nel cinema delle banlieues presso l’Università di Padova. E’ attivista nell’ASD Quadrato Meticcio e Decolonize Your Eyes. Conduce il doposcuola di quartiere presso l’Asd, organizza eventi e attività sociali e realizza prodotti audiovisivi, utilizzandoli come strumento di relazioni sociali e ricerca sociale in particolare con minori e adolescenti.

Silvia Chiodi, è dirigente di ricerca all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee del CNR di Roma e docente a contratto di Arte e culture del Vicino Oriente antico per il Corso di Laurea in Teoria e storia delle arti e dell’immagine dell’Università Vita – salute del San Raffaele di Milano. A seguito delle personali esperienze in Iraq e in Libano (1993- 2006) si occupa, tra le altre cose, di protezione del patrimonio culturale durante i conflitti armati. Dal 2004 è stata insignita Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per motu proprio dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Partecipa al gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.)

SAVERIO PASTOR VENEZIANO DELL’ANNO 2023

Pubblico qui integralmente il discorso di ringraziamento di Saverio Pastor, decano dei Rèmeri veneziani e antico sostenitore dei principi della Convenzione di Faro. Saverio Pastor è stato nominato veneziano dell’anno per il 2023. Può darsi che i non-veneziani non sappiano esattamente che cos’è un Felze o quali sono i mestieri artigiani che vi ruotano attorno. Se non lo sapete vi consiglio vivamente di visitare il sito della loro associazione: https://www.elfelze.it/

NON NOBIS DOMINE, NON NOBIS.

Quando amichevolmente mi dissero che la scelta del veneziano dell’anno era caduta su di me, ho avuto l’istinto di alzarmi e andarmene. Ben altre personalità vedo più adatte: sensibilità più raffinate, cultura eccelsa, abilità più ardite. Poi, leggendo meglio le motivazioni, mi son detto che finalmente si presentava l’occasione per ringraziare tutti i remèri e tutti gli artigiani, passati presenti e futuri. In effetti, diciamolo, sono stati bravi, siamo stati bravi.

È forse giunto il momento di riconoscere che il lavoro dei remèri è stato essenziale per la nascita stessa della città e poi per la sua crescita come potenza economica, commerciale e militare; è ora di ringraziare i misteriosi proto-remèri che costruirono quei remeggi necessari ad esplorare e colonizzare quella laguna ancora disabitata. E ricordiamo quindi le migliaia di remèri che hanno reso possibile la nascita e la vita della città col loro lavoro, modesto ma strategico, faticoso ma essenziale.

È ora di ricordare Artico Massario con bottega nell’attuale Campiello del remèr: è il primo remèr di cui si abbia conoscenza scritta, su un contratto di esattamente 800 anni fa, per la realizzazione di 1.000 remi in frassino per l’Arsenale.

Vanno salutati quegli ignoti Maestri che nel 1307 presentarono il testo della mariegola dell’arte da far finalmente approvare dai preposti 3 Giustizieri vecchi.

E salutiamo con affetto quei volti ormai noti dell’insegna dell’arte dei remèri, commissionata nel 1517 da Maistro Nicholò de Marcho Marchovichio dito de Andronicho, gastaldo de l’Arte de remeri et i suoi compagni, con il garzone al centro, con il catalogo delle tipologie di remi e delle lavorazioni e con due forcolette relegate al margine.

Anche senza la corporazione, soppressa da Napoleone, anche sotto il dominio francese e poi austriaco, anche nella più profonda crisi economica seguita alla caduta della Repubblica, i remèri hanno continuato a rifornire le barche e la città degli essenziali remi e forcole.

La vera crisi è ovviamente arrivata con la motorizzazione generalizzata avvenuta tra gli anni 50 e 60. In quel frangente quanto bravo è stato il mio, il nostro Maestro, Bepi Carli, con Gino Fossetta, a salvare la sua bottega e il nostro mestiere? Lo ha fatto con gesto semplice, ma geniale, per certi versi rivoluzionario in quel contesto; ha tolto la forcola dalla barca e l’ha messa su di un piedistallo facendola diventare altro, un oggetto plastico e simbolico apprezzato in tutto il mondo per le qualità che lo connotano, tra funzionalità sofisticata e bellezza scultorea.

Ed è giusto ringraziare noi attuali remèri, siamo 5 maestri in 4 botteghe, io sono il più anziano e con me da quasi 20 anni lavora il più giovane, Pietro Meneghini, mentre Paolo Brandolisio, Franco Furlanetto (già mio allievo) e Piero Dri presidiano la città dalle loro 3 botteghe. Li ringrazio per come affrontano, assieme a tutti gli altri artigiani, l’attuale grave crisi che attanaglia la città, crisi demografica, antropologica e sociale, che con il precipitare del numero di abitanti vede diminuire ben di più il numero di persone che vanno in barca, a remi.

Per combatterla, nel 2002, abbiamo immaginato che fosse necessario fare rete. Con gli altri artieri de gondole et suoi fornimenti abbiamo inventato l’associazione El Felze, per contarci, per contare e per raccontare chi siamo e cosa facciamo. Purtroppo, a contarci ci mettiamo sempre meno perché abbiamo perso molti colleghi, anche grandi Maestri, di cui sentiamo già la gran mancanza -ciao cari-.

I maestri artigiani di El Felze


All’inizio abbiamo contato parecchio anche per il territorio Veneto e le Istituzioni che lo governavano, ed abbiamo vicendevolmente collaborato ad importanti iniziative anche all’estero, mentre ora evidentemente altri problemi attanagliano le Amministrazioni. Invece siamo diventati piuttosto bravi a raccontare anche grazie a chi di comunicazione e grafica se ne intende.

Nel frattempo, grazie a quello che chiamo il nostro corpo accademico, di cui la professoressa Elisa Bellato fa parte, abbiamo imparato anche a conoscere la Convenzione UNESCO del 2003 sulla Promozione e Protezione del Patrimonio Immateriale e quella del Consiglio d’Europa del 2005, stipulata a Faro, che spinge la collettività a rendersi consapevole fruitrice dei propri patrimoni e a farsi comunità patrimoniale. Per queste convenzioni noi artigiani, saremmo dei “portatori sani” di patrimoni culturali ed essere artigiani oggi vuol dire anche questo: farsi carico di un ruolo sociale e culturale.

Ringrazio quindi tutti i colleghi de El Felze per aver creduto in questa sfida e per il lavoro considerevole per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale immateriale che è stato addirittura premiato dalla città coreana di Jeonju.

Anche per questo abbiamo lanciato el disnar per la regata storica: occasione di incontro e di convivialità tra cittadini, e ringrazio le centinaia di persone di decine di associazioni, della città e del litorale, che hanno voluto credere in questa proposta. Perché promuovere la voga, le regate, la cantieristica è indispensabile alla nostra specificità anfibia.

Perciò questo è un riconoscimento a tutti gli artigiani, ma anche a tutti coloro che della città fanno sopravvivere i suoi aspetti essenziali: gondolieri, regatanti, piccoli commercianti. Insomma a tutti i veneziani che vivono sotto al motto di resistere, resistere, resistere!

Ovviamente non parlo più solo di noi della gondola, di noi della filiera lunga della cantieristica, ma parlo di tutto l’artigianato veneziano perché Venezia è stata capitale delle manifatture e di queste ancora permane qualche buon lacerto.

Resistiamo ad un mercato immobiliare impazzito, alla cultura dell’happy hour che porta alla sostituzione delle botteghe con gli ennesimi baretti, alla gran festa del turismo di massa e dell’airB&B che scaccia i nostri clienti d’elezione lasciando vuote e sterili cassettine con numeri segreti, resistiamo alla legge del prodotto seriale e all’omologazione. Ma la nostra città non è omologabile senza la sua morte.

Ringraziamo anche le nostre Amministrazioni, a tutti i livelli, che da oggi si impegneranno veramente con maggior decisione e con la collaborazione delle associazioni del territorio:

  • nell’inversione della tendenza all’esodo dalla nostra città,
  • nell’investire seriamente in progetti volti a riaffermare la specificità anfibia della nostra civiltà, nell’educazione dei giovani assieme alle società remiere;
  • di investire nella rappacificazione con le acque e quindi
  • in una mobilità per quanto possibile moderna ma realmente sostenibile, rispettosa e razionale;
  • di spendersi e spendere per far di Venezia quantomeno un centro nevralgico e vitale, non solo espositivo, delle arti applicate e dell’artigianato tipico e tradizionale: un polo di rilevanza Europea dove le arti si riconoscano e si confrontino;
  • di offrire altre nuove ricche opportunità all’uso dell’Arsenale.
  • di farsi volano perché si coagulino delle comunità patrimoniali attorno ai beni di cui ancora possiamo beneficiare e di cui dobbiamo esser orgogliosi, spingendo verso nuove candidature a Patrimoni dell’umanità: dalle perlère al vetro, dai mestieri della gondola al mestiere del gondoliere, dalla voga alla veneta alle regate, dalla tessitoria al merletto, dai mestieri del restauro monumentale a quelli delle manutenzioni;

Ovviamente ho molti ringraziamenti più personali da fare.

Ringrazio quindi Bepi e Gino da cui ho imparato il mestiere. E ringrazio chi mi ha accompagnato in questo apprendimento che dura tuttora: Vittorio Marcoleoni e tutti gli amici della Spazio Legno.

Ringrazio la Regione del Veneto per avermi attribuito il titolo di Maestro Artigiano e la Fondazione Cologni per avermi riconosciuto quello di Maestro d’Arte e Mestiere. Mi hanno offerto così lo stimolo a realizzare un progetto che da anni giaceva in un cassetto: a ottobre farò una mostra a Parigi dove trasformerò una galleria in laboratorio, dove lavorerò e dove racconterò il ruolo di questo mestiere nella nostra cultura. Una nuova avventura, personale, per la quale cerco sostegni e sponsor, che spero possa far parlare di Patrimonio Culturale Immateriale.

Ringrazio quindi questo Comitato Veneziano dell’anno perché mi dà un’ulteriore investitura di ambasciatore, di portavoce riconosciuto da questa comunità.

Ringrazio, oltre ai remeri, i colleghi che hanno dato vita a el Felze Giuliana Longo, Elisabetta Mason, Ermanno Ervas, Roberto Tramontin, Marzio De Min, Emilio Ballarin, lo studio Scibilia, Gianfranco Munerotto e Adrian Smith che hanno dato una fondamentale mano nella comunicazione; così come i nostri amici suggeritori Simona Pinton, Clara Peranetti, Lauso Zagato e Adriano De Vita, oltre ad Elisa Bellato.

E un pensiero va alla mia famiglia di origine: a Valeriano, a Michelina e a mia sorella Barbara che hanno sempre avuto un approccio alla loro professione di architetti come fosse un mestiere artigiano, dove si progetta, si disegna, si realizza con dedizione, controllando i dettagli, ricercando la migliore funzionalità senza rinunciare al buon risultato estetico. E poi l’imprinting non è stato banale con le frequentazioni delle botteghe dei migliori artigiani, per visite e sopralluoghi.

E quindi il ringraziamento va poi alla famiglia costruita con Agnese, che vede in Tiziano e Giacomo i nostri meravigliosi tesori.

E infine quella che è la mia seconda casa, la bottega, dove appunto Piero ha un ruolo sempre più da protagonista mentre Enrica Berti e Fabiana Ceccarelli cercano di integrare le grosse smagliature amministrative assieme agli amici della CNA. E certamente ringrazio tutti i fornitori, trasportatori e collaboratori che ci permettono di portare a termine il nostro lavoro di remèri del terzo millennio.

Grazie a tutti

Patrimonio dissonante e divisività assoluta

A proposito di un articolo segnalato nel sito di Faro Venezia (Autore Lauso Zagato)

daniela ortiz, patrimonio controverso o dissonante

1. Un importante intervento dell’artista peruviana Daniela Ortiz

La scorsa primavera è stato meritoriamente inserito nel sito di Faro Venezia il richiamo ad un articolo pubblicato dal Manifesto al tempo della sindemia, nei mesi finali del 20211; si tratta dell’intervista all’artista peruviana Daniela Ortiz da parte dalla giornalista Lucrezia Ortolani a proposito del significato del patrimonio dissonante di origine coloniale oggi.

Ciò conferma l’attenzione di Faro Venezia per un problema nodale del patrimonio culturale tutto, (tangibile e non), attenzione del resto desumibile dal fatto che una delle FAQ dedicate dall’Associazione alla Convenzione di Faro, la 12 (II), è dedicata proprio alla nozione di patrimonio dissonante. Invero, la radicalità dei problemi in gioco configge con la pericolosa conferma di una tradizione improntata ad un rigido conservazionismo nei confronti del patrimonio ereditato.

Dice la Ortiz all’inizio della sua intervista, “vogliono mantenere viva la tradizione colonialista, la conservazione del patrimonio è solo una scusa”. Non sono del tutto sicuro dell’esattezza della seconda parte del ragionamento, nel senso che spesso non si tratta di scuse, ma di una adamantina certezza nella sacralità e ad un tempo neutralità delle vestigia patrimoniali2, di qualsiasi origine e natura. L’effetto comunque non è diverso: un patrimonio, materiale e non, e dietro a questo un blocco di memorie legate a determinate epoche e fasi storiche, e ideologie al tempo dominanti, devono a detta del pensiero dominante essere mantenuti come tali in nome della supposta neutralità dell’arte. Ripeto, quando una simile posizione è portata avanti dai cultori della conservazione dura e pura, sempre e dovunque, ne va rispettata la coerenza. Peraltro, abbiamo avuto tutti agio di notare come in vari casi siano proprio quanti si dichiarano a favore di un approccio cosiddetto liberista in materia, per cui tutto risulta sacrificabile alla globalizzazione delle arti e delle culture (e soprattutto dei commerci in tale ambito) a porre un rigido caveat ove vengano messi in discussione quei profili patrimoniali che più drammaticamente simboleggiano l’avventura spaventosa dell’Europa nei secoli della conquista.

2. La lezione della professoressa Ben Ghiat: Davvero l’eredità monumentale del fascismo sarebbe costituita da “merely depoliticized aethyetica objects” (oggetti di valore estetico ormai privi di valenza politica)”?

Di qua la doverosa presa di distanza, a mio giudizio, dalla (troppo) ampia levata di scudi, al limite dell’indignazione, che ha accolto a suo tempo in Italia la pubblicazione dell’articolo della professoressa Ben Ghiat’3. Cosa diceva di così dissacrante la studiosa americana? Non accusava la cultura italiana di essere ancora impregnata di fascismo (e in questo era casomai troppo ottimista, alla luce della cupa realtà attuale del nostro Paese). Il suo punto era che la cultura italiana trattava l’eredità monumentale del fascismo come “merely depoliticized aesthetic objects”, con l’effetto di non comprenderne la valenza politica, che peraltro rimaneva (e rimane) ben chiara ai gruppi di estrema destra4.

Vi è allora da augurarci che l’apertura al tema del sito di Faro Venezia, dando spazio alla chiarezza della presa di posizione da parte dell’artista peruviana, possa contribuisca allo sviluppo di un dibattito non limitato ai professionisti del patrimonio, ma che attraversi le comunità patrimoniali, a partire da quelle più vicine alla nostra esperienza, riconducibili al circuito veneto/lagunare.

3. Faro Venezia e Alleanza Una Venezia: definizioni a confronto

Mi soffermerei piuttosto sulla Risposta alla Faq 12 (II), di Faro Venezia (la Risposta, a seguire). Questa definisce patrimonio dissonante (o controverso) “un oggetto patrimoniale che può dare origine ad interpretazioni patrimoniali conflittuali o comunque in contrasto fra loro, da parte di gruppi socio-culturali diversi o dello stesso gruppo che cambia idea nel corso del tempo, oppure ancora di gruppi che dispongono di livelli di potere diversi”. Nel prosieguo, la Risposta individua le tre varianti della nozione: dissonanza sincronica, diacronica, di potere. Mentre il significato delle prime due è in qualche modo evidente, e comunque ci tornerò oltre, sottolineo l’importanza dell’ultima. Con l’espressione dissonanza di potere ci si riferisce alla presenza o meno di élites dominanti che abbiano il potere di definire cosa è e cosa non è patrimonio culturale. Una variante della dissonanza di potere riguarda la questione dell’inserimento o meno di espressioni culturali nelle varie Liste del patrimonio disciplinate dalle Convenzioni dell’UNESCO. Si aprono qui complesse interrelazioni tra il potere dei diversi Stati interessati (e delle entità sub-statuali) nel loro rapporto sempre difficile, spesso conflittuale, con le comunità viventi da un lato, con gli apparati delle organizzazioni internazionali dall’altro lato.

Non è un caso a mio avviso che proprio una associazione legata anche nel nome alla Convenzione di Faro e allo sviluppo delle comunità patrimoniali abbia saputo porre con chiarezza questa problema. Contro le aperture garantite da tale strumento giuridico /la CF intendo) ha mosso fin dall’inizio, e continua ad agire, un potere castale, onnipotente in alcuni Stati europei (che infatti non hanno ratificato la CF), ma operante anche in Stati che hanno scelto di ratificarla, operando in questo caso con il fine di renderne tendenzialmente nullo ogni possibile effetto concreto5.

Torniamo ora alla definizione di patrimonio dissonante data da Faro Venezia, considerandola nella sua interezza e confrontiamo questa definizione con quella fornita dall’alleanza Una Europa6. Questa si propone di cercare nuove chiavi di lettura (nonché strategie narrative), per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale dissonante inteso come “un patrimonio tangibile e intangibile che per il contesto storico in cui si è formato e i valori che esprimeva in passato è particolarmente difficile da raccontare e gestire”. Gli esempi fatti riguardano poi l’architettura coloniale e quella “voluta dai regimi totalitari”.

Prima di soffermarmi criticamente sul rapporto tra le due definizioni, sottolineo l’esistenza di un punto di confluenza tra loro: entrambe ci aiutano a fare chiarezza nel distinguere il fenomeno in esame dalla situazione del patrimonio conteso. Questa si verifica quando “due o più Stati, entità etnico-linguistiche, religiose, culturali, comunità di vario genere, entrano in conflitto circa l’appartenenza di un bene, di un sito, di singole (o di un complesso di) espressioni culturali, di cui le diverse Parti in causa si considerano legittime depositarie”7 per cause identitarie, di prestigio, economiche. Quest’ultimo è il caso della contesa tra Cambogia e Thailandia per il possesso del centro monumentale di Angkor Vat, contesa che ha conosciuto episodi, all’inizio del secolo, di vera e propria guerra. Nelle sue varianti, il patrimonio conteso rappresenta una situazione simmetrica a quella del patrimonio dissonante.

4. La forza dirompente delle divergenze: una (dura) ipotesi conclusiva

Fatta questa precisazione, a me pare che nel caso della definizione fornita da Una Europa siamo in presenza di una aspirazione, magari virtuosa, a ripulire la radicalità delle divergenze, che non tiene conto della forza dirompente, e operante anche al presente, di svariati fenomeni di dissonanza. La dissonanza in questa prospettiva si riduce così alla sua sola dimensione diacronica, riguarda ricadute al presente di fenomeni passati. Ma quid se la dissonanza è invece sincronica e, soprattutto, se – come nelle situazioni più radicali – è insieme diacronica e sincronica? Il sospetto è che chi ha scelto di muoversi su questo terreno abbia in realtà già deciso cosa sia memoria vivente e cosa non abbia più altro che carattere residuale. Ci si potrebbe persino chiedere, con un po’ di malizia, se qualche volta gli aspiranti “facilitatori” non costituiscano essi stessi un esempio di dissonanza di potere rispetto ai portatori delle specifiche situazioni di dissonanze (sincronica, diacronica, sincronico/diacronica) vivente.

Mi fermo, non senza porre una domanda che chiarisce meglio il mio pensiero: quando ci troviamo in presenza di profili patrimoniali intrinsecamente legati all’orrore del colonialismo (ritornando alla Ortiz), e a quello della schiavitù, non sarebbe lecito parlare piuttosto che di patrimonio dissonante (o controverso), di patrimonio radicalmente divisivo (o contestato)? E quindi: quale dovrà essere il modo corretto di confrontarsi con simili espressioni patrimoniali, una volta scartata la pura e semplice distruzione, che finirebbe paradossalmente per giovare a chi quel passato cerca di cancellare?

Note

1 Lucrezia Ortolani, “Daniela Ortiz, il conflitto mai sopito dietro i monumenti”, ne Il Manifesto, 10 ottobre 2021.

2 In particolare quelle presenti nei territori metropolitani. Per un esempio invece della scarsa considerazione – per usare un eufemismo – di cui godettero, in Italia, le opere d’arte e i referti patrimoniali provenienti dal territorio coloniale, o comunque extra-europeo, v. Marta Nezzo, “L’altra rovina, appunti sul destino degli oggetti non europei durante la seconda guerra mondiale”, in Carmelo Bajamonte, Marta Nezzo (a cura di), Arte e guerra. Storie dal Risorgimento all’età contemporanea, il Poligrafo, Padova, 2021, pp. 207-219.

3 Ryth Ben-Ghiat, “Why so Many Fascist Monuments still Standing in Italy”, in New Yorker, October 5, 2017.

4 L’articolo mi capitò tra le mani solo anni dopo, e mi indusse a scrivere un intervento, poi pubblicato: Lauso Zagato, “Sul patrimonio culturale dissonante e/o divisivo”, in Dialoghi Mediterranei, n. 55, on-line dal 1 maggio 2022, www.istitutoeuroarabo.it/DM/sul-patrimonio-culturale-dissonante-eo-divisivo/. Peraltro alcune delle cose ivi scritte (eravamo nei mesi del “black lives matter”) crearono attorno a quella presa di posizione un imbarazzato silenzio, anche da parte di persone a me vicine come impianto culturale di riferimento …

5 Il discorso non è improntato a paranoia. Un esponente qualificato della nomenclatura culturale del nostro Paese scrisse qualche anno fa, senza mezzi termini, che per fortuna l’Italia non aveva ratificato la CF lo avesse fatto in futuro, che non c’era alcun bisogno che lo facesse, ma che se , che non c’era alcun bisogno che lo facesse, ma che se lo avesse fatto in futuro sotto la pressione di qualche gruppo politico, esistevano e andavano usati gli strumenti per neutralizzarne ogni possibile effetto devastante. In altre parole, in caso di ratifica, bisognava disinnescare l’ordigno.

6 UNIBO Magazine, 10 novembre 2021, Rileggere e riscoprire il patrimonio culturale “dissonante”, https://magazine.unibo.it/archivio/2021/11/10/rileggere-e-riscoprire-il-patrimonio-culturale-201dissonante201d.

7 Zagato L., op. cit.

A sostegno del Forum Futuro Asenale

Ospitamo questo appello del Forum Futuro Arsenale, una della storiche Comnunità Patrimioniali Veneziane, da sempre del tutto inascoltata dalle amminstrazioni cittadine. Un esempio perfetto di come NON dovrebbero essere i rapporti tra Comunità Patrimoniali e istituzioni.

Arsenale di Venezia: il Comune non ascolta i cittadini e tira dritto per la sua strada malgrado progetti e buoni consigli.

Il Consiglio Comunale di Venezia, con la delibera n. 18 del 03.03.2022, ha approvato lo schema di protocollo d’intesa con Ministero della Cultura e Ministero della Difesa per variare l’assetto proprietario dell’Arsenale… senza badare alle critiche nostre, di molte associazioni, di molti cittadini e pure della minoranza consiliare che hanno evidenziato l’incoerenza di quella manovra con le disposizioni di legge e con gli stessi interessi dell’Amministrazione comunale.

Contro la ingiustificata cessione del patrimonio pubblico e l’indifferenza alle richieste di tanti cittadini intendiamo presentare un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, entro il 14 maggio, per far dichiarare l’illegittimità di quella delibera.

E’ quindi necessario coprire le spese di legali e di giudizio che abbiamo stimato fino a circa 20.000 euro da raccogliere entro il 10 maggio 2022.

Apriamo dunque una campagna di raccolta fondi per sostenere
finanziariamente il ricorso al TAR

Causale versamento: RICORSO al TAR VENETO
IBAN bancario: IT59 A030 6967 6845 1074 9169 678
Beneficiario: Associazione FORUM FUTURO ARSENALE

Associazione Forum Futuro Arsenale
email: segreteria@futuroarsenale.org
Web: www.futuroarsenale.org
Facebook: Futuro Arsenale

Ripartiamo dall’Arsenale

Uno dei temi chiave a della Convenzione di Faro è la la richiesta di partecipazione attiva della cittadinanza alla gestione del patrimonio. Questo non significa fare i volontari che lavorano gratis. Significa partecipare alle decisioni rilevanti con un ruolo politico formalmente riconosciuto.

Come forse alcuni di voi sanno, a Venezia qualunque forma di collaborazione o anche solo di dialogo tra Comunità Patrimoniali e amministrazione è sempre stata difficile ma con il sindaco Brugnaro è diventata impossibile. Le considera “senza potere”, formate da poveri illusi che non capiscono i rapporti di forza e quindi irrilevanti.

Leggi o scarica il MANIFESTO DEL Forum Futuro Arsenale

In questi giorni il Comune deciderà di cedere parti importanti dell’Arsenale alla Biennale, naturalmente senza consultare nessuno e ignorando completamente tutte le proposte di valorizzazione presentate dalle Comunità Patrimoniali, prima fra tutte il Forum Futuro Arsenale. Le aree che saranno cedute sono quelle in verde nella mappa seguente.

La questione dell’Arsenale è complessa e impossibile da riassumere qui, ma almeno due cose vanno notate. La prima è che il sindaco ha abolito l’assessorato alla cultura. Cosa inverosimile in una città come Venezia, ma è così: non abbiamo un assessore alla cultura da sette anni. La seconda è che la Biennale non è una istituzione amata in città. Naturalmente nessuno nega la sua importanza sul piano culturale è come attrattore per un turismo qualificato. Però non ha alcun rapporto con la vita cittadina. E’ un corpo alieno che fa le sue cose rivolte al mondo intero ma ignora la città che la ospita e tende a “mangiarsi” tutti gli spazi disponibili sottraendoli agli abitanti e tenendoli chiusi per sei mesi all’anno.

Detto questo, ora a Venezia sta accadendo una cosa mai successa prima: praticamente TUTTE le organizzazioni della società civile si sono compattate per protestare contro la cessione alla Biennale degli spazi dell’Arsenale di proprietà del Comune. Questa decisione ha assunto subito il significato di una rinuncia, di un lavarsene le mani, di una clamorosa mancanza di idee e incapacità di comprendere il valore di un bene che in qualunque altro paese europeo sarebbe al centro dell’attenzione.

Unica cosa buona di questa brutta storia è che ora abbiamo un elenco completo di tutte le Comunità Patrimoniali cittadine e delle altre organizzazioni di cittadinanza attiva che sono attente al nostro patrimonio culturale. Lo trovate in fondo al Manifesto, scaricabile da inzio pagina. Potrebbe nascerne qualcosa.

Link al sito del Forum Futuro Arsenale

C’è un giudice a Berlino! Le pesanti accuse del TAR all’Agenzia del Demanio di Venezia sul caso Poveglia

Lo scorso 8 marzo 2018 il Tribunale Amministrativo ha accolto il ricorso dell’ Associazione Poveglia per Tutti contro l’Agenzia del Demanio di Venezia che aveva respinto la loro richiesta di prendersi cura dell’isola, con fondi propri, e per un periodo limitato di tempo. La storia dell’Associazione è ormai lunga e molto significativa sul tema di come può formarsi una comunità patrimoniale forte e molto motivata. Non riassumo qui questa storia. Chi non la conosce può seguire i links a fondo pagina che la ricostruiscono in breve.

La cosa rilevante qui non è tanto il fatto di avere vinto un ricorso, cosa che capta molto spesso alle associazioni civiche; sono le motivazioni della sentenza ad essere clamorose. In pratica il TAR accusa l’Agenzia del Demanio di ogni nefandezza possibile e immaginabile.

La sentenza originale completa si può leggere qui.

Le motivazioni

Riassumo qui in punti salienti delle motivazioni della sentenza in basic italian in modo che sia tutto più chiaro. Secondo il TAR il rifiuto del Demanio:

  • É privo di motivazione, non indicando alcun presupposto di fatto ed alcuna ragione giuridica che abbia determinato il diniego di concessione.
  • Nasconde i motivi del rifiuto.
  • Rivela un eccesso di potere perchè la domanda è respinta in base a motivazioni del tutto estranee al merito della domanda nstessa.
  • Rivela un eccesso di potere (di nuovo) perché il rifiuto richiama la necessità di sentire il parere del sindaco, cosa del tutto falsa.
  • Rivela un eccesso di potere, (ancòra) perché il Demanio ha posto sulle stesso piano la richiesta dell’Associazione- realmente esistente dettagliata e motivata – con altre generiche “manifestazioni di interesse” provenienti da altri soggetti, sostanzialmente inesistenti.
  • Dimostra irragionevolezza e manifesta contraddittorietà del diniego. L’agenzia infatti rinuncerebbe ad ottenere dalla ricorrete opere e attività rientranti tra i suoi compiti di legge. Che non ha mai realizzato.
  • Dimostra la volontà di perdere tempo, tirala in lungo deliberatamente, per (“mera presa di tempo da parte della P.A., con un atto sostanzialmente soprassessorio”).

Il rifiuto del Demanio contrasta inoltre con il regolamento per la concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato  (art. 9 del d.P.R. n. 296/2005) dove si stabilisce che “possono essere oggetto di concessione ovvero di locazione, in favore dei soggetti di cui agli articoli 10 e 11, rispettivamente a titolo gratuito ovvero a canone agevolato, per finalità di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale, gli immobili di cui all’articolo 1, gestiti dall’Agenzia del demanio”.

Si tratta di motivazioni pesantissime, che distruggono completamente la credibilità dell’Agenzia del Demanio, che – ricordiamolo– è una agenzia dello stato che amministra beni pubblici, cioè appartenenti a tutti noi e lo deve fare per nostro conto , non contro di noi.

L’Agenzia ha dimostrato, come minimo, di non avere le capacità professionali adeguate al compiuto che deve svolgere. Ma ha dimostrato anche un atteggiamento apertamente ostile e vessatorio (l’eccesso di potere) verso quei cittadini che – in ultima istanza – sono i suoi datori di lavoro.

Va notato che l’Agenzia è un “Ente Pubblico Economico (EPE). L’EPE è un soggetto giuridico autonomo che opera nell’ambito della Pubblica Amministrazione e che, per raggiungere i propri obiettivi, fa ricorso a modalità organizzative e strumenti operativi di tipo privatistico.”
Dunque se la sua organizzazione è di tipo privatistico, si può supporre che i dirigenti che si sono resi responsabili di una simile sequenza di errori e prepotenze se ne assumano la responsabilità e ne paghino le conseguenze.

O è pretendere troppo?

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Poveglia: l’isola che c’è
un breve post con due nostri video girati nell’aprile del 2014, quando la storia di della comunità patrimoniale di Poveglia era era appena iniziata. Uno è questo, che mostra l’ evidente entusiasmo che l’inziativa ha suscitato:

La storia dell’Associazione Poveglia per Tutti

‘Non svendete Poveglia’: il Tar dà ragione all’associazione che vuole proteggere l’isola”
Articolo su L’Espresso che riassume il caso.

Il TAR da regione ai 4550 veneziani del mondo
Articolo dell’ Associazione che commenta la sentenza del TAR

Nota
L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino?” aderiva dalla storia di un mugnaio di Postdan e dei sua moglie Rosina contro tutti i corrotti giudici per ottenere giustizia. E alla fine ci riesce. Leggi qui tutta la storia

Ecomuseo del Sale e del Mare di Cervia

Abbiamo avuto recentemente il piacere di avviare una collaborazione con L’ecomuseo di Cervia. Ecco un articolo che ci hanno inviato e che volentieri pubblichiamo.

ecomuseocerviaLa ricchezza di paesaggi che Cervia offre, le sue tradizioni, gli intrecci culturali che qui trovano comunione sono alla base dell’ Ecomuseo del Sale e del Mare. E’ in questa terra che l’acqua di mare si mescola a quella salmastra della salina ed è sempre qui che la tradizione millenaria del lavoro del salinaro si affianca al difficile mondo dei pescatori. Le culture di entrambe queste realtà si intrecciano e si rinnovano di anno in anno lasciando aperta una porta sul futuro ancora da scrivere. Su queste premesse l’Ecomuseo di Cervia intende divenire il mezzo principale di conservazione e valorizzazione delle culture e tradizioni locali, oltre alla salvaguardia dei propri variegati paesaggi. La scelta ricade sulla figura dei facilitatori ecomuseali, ossia persone di età diverse, provenienti da esperienze diverse ma pronte a mettersi in gioco per il bene della comunità.

ecomuse Cervia

Cervia conta su oltre trenta facilitatori formati pronti ad interagire con la comunità, ad assorbirne il patrimonio culturale e a rielaborarlo per farne argomenti sempre più attuali. Si è appena concluso il secondo corso di formazione volto a individuare gli strumenti più idonei a rappresentare il territorio. Tra questi le mappe di paesaggio, il mezzo più immediato per censire ogni paesaggio che andrà poi ad integrarsi in una immagine unica di mappa di comunità.
Proprio ai facilitatori la scelta di otto realtà da rappresentare che possano riassumere in otto argomenti centrali, l’identità della comunità e la rielaborazione modulata delle esperienze di vita del gruppo.

  1. I cortili del centro storico di Cervia. Il gruppo intende realizzare una mappa sonora.
  2. I villini di primo Novecento di Cervia e Milano Marittima. Si sta lavorando su una mappa digitale storica ed emotiva.
  3. Le pinete di Cervia e Milano Marittima. Non più una semplice mappatura della pineta ma una rilettura basata su storia, tradizioni e prodotti di pineta.
  4. Controllo delle acque e dei caselli del sale. Ormai è pronta una mappa cartacea di facile divulgazione.
  5. Antichi strumenti dei salinari. Dalle formelle in ceramica di romagna a semplici giochi da presentare ai più piccini.
  6. Itinerari religiosi e dello spirito. Realizzazione di una mappa digitale e cartacea da esprimersi tramite immagini e foto inedite.
  7. Il borgo marina e il difficile lavoro dei pescatori. Sono i pescatori, tramite le passeggiate Patrimoniali a presentare il loro mondo, dagli antichi metodi di pesca ai prodotti ittici che quotidianamente si trovano sui banchi.
  8. Piadina, sale ed enogastronomia di Cervia. La mappa diventa prodotto tangibile tramite una shopper a marchio ecomuseo con le infinite versioni della piadina romagnola.

Come ultimo strumento le Passeggiate Patrimoniali che a Cervia sono già diventate realtà e individuate tra le metodologie migliori per coinvolgere cittadini e ospiti temporanei in città, e naturalmente, mezzo straordinario e unico per far conoscere l’Ecomuseo del Sale e del Mare. I primi a concretizzarle sono i stati i nostri pescatori supportati ed aiutati dai facilitatori ecomuseali.

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E’ così che il 20 marzo scorso hanno accompagnato un gruppo di operatori turistici lungo la Via del Mare. Hanno mostrato loro un mondo umile, di fatica e di solitudine proprio di chi per giorni era costretto a vivere in mare lontano da tutto ed hanno anche mostrato le varie specie ittiche dell’Adriatico, illustrato antichi strumenti, hanno raccontato aneddoti e colorite storie di mare, aperto le porte delle loro case e dei luoghi di ritrovo.

La giornata ha funzionato come una sorta di “prova generale” della passeggiata già in calendario il 22 maggio 2016 in occasione della prima edizione di “Meine Romagna in Cervia”, giornata dedicata all’accoglienza degli ospiti tedeschi. Per un giorno l’intera costa romagnola ha aperto le porte a tutti gli amici provenienti da Germania ed Austria e l’Ecomuseo del Sale e del Mare di Cervia lo ha fatto alla grande grazie ad una serie di passeggiate che si sono susseguite per tutta la giornata per rivelare le eccellenze della città.

Oltre un centinaio di persone a piedi, in bicicletta ed in barca elettrica hanno potuto visitare gratuitamente l’oasi naturalistica della salina di Cervia, stazione sud del Parco del Delta del Po; la salina “Camillone” in compagnia di ex salinari che hanno rivelato i segreti del loro faticoso mestiere; il portocanale, dove insieme ai pescatori, hanno potuto vedere antichi sistemi di pesca e il pesce appena giunto al mercato; il centro storico, dove oltre ai monumenti, hanno potuto incontrare le realtà economiche locali che da tempo operano nel centro cittadino come i piadinari ed i piccoli esercenti che vendono tele stampate, miele, sale e altri prodotti tipici locali.

Non sono state trascurate le pinete secolari e la realtà della spiaggia attrezzata ad accogliere migliaia di turisti. Proprio il turismo balneare infatti, negli ultimi cento anni, ha cambiato i destini di Cervia: da città fabbrica chiusa e relegata alla produzione del sale a città balneare con lo guardo rivolto ad un turismo sempre più internazionale.

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Tarvisium Gioiosa

A Treviso ha iniziato ad operare una associazione, Tarvisium Gioiosa, che si propone di documentare e recuperane la bellezza nascosta sui muri della città, l’urbis picta, la città dipinta.

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Strana cosa questa invisibilità. Affreschi e decorazioni murali sono presenti da sempre e sono sotto gli occhi di tutti, anche speso molto deteriorati e in stato di abbandono. Ma tra il vedere e il guardare c’è differenza. Vedere è un atto meccanico dovuto al fatto di avere gli occhi aperti. Guardare è un atto intenzionale, che esprime interesse, motivazione, cultura. Per guardare bisogna essere “svegli”.

In questa breve intervista Nicoletta Biondo e Giampiero Presazzi, ci danno l’idea concreta delle motivazioni di Tarvisium Gioiosa e ci fanno guardare con altri occhi i muri della loro bellissima città.

Negli anni sessanta, l’epoca del boom edilizio, nessuno guardava perché si trattava di costruire e basta e gli edifici storici venivano percepiti come un ostacolo al progresso e al nuovo benessere. Questo modello culturale è ancora presente e forte, ma oggi è nata e si sta diffondano una sensibilità nuova, che valorizza la storia dei luoghi e la volontà dei cittadini di prendersene cura.

Questo sta avvenendo con modalità diverse a seconda si contesti locali. Nella presentazione delle attività di Tarvisium Gioiosa ho visto un evidente entusiasmo da parte dei dei cittadini, degli artisti e restauratori e dell’assessore alla cultura. Non è così a Venezia, dove spesso la volontà di “prendersi cura” e di partecipazione della cittadinanza si scontra con la consolidata abitudine delle istituzioni di prendere le decisioni rilevanti nelle segrete stanze, con rarissime eccezioni.

Dal sito di Tarvisium Goiosa:

Concept
“Tarvisium Gioiosa è un progetto a lungo termine che mira in primis alla conservazione e messa in sicurezza degli intonaci dipinti, grazie al contributo della comunità , delle istituzioni pubbliche e private. Il punto focale di questa campagna è lo sviluppo di una mentalità sensibile e coscienziosa riguardo alla tutela dei propri beni artistici , in uno spirito di “mutuo soccorso” collettivo , sentito dalla piccola città di provincia fin ad organismi internazionali. Di pari passo si attueranno campagne corrette e regolari sulle opere in degrado, permettendo di operare in tempi adeguati e con costi contenuti su un maggior numero di palazzi.” (leggi tutto qui)

Manifesto in PDF

Progetti

Stiamo lavorando a tanti progetti, grazie alla collaborazione di associazioni, appassionati, amministrazione pubblica, professionisti ed aziende che hanno aderito a Tarvisium Gioiosa.

I progetti che si stanno studiando riguardano:

  • restauro e conservazione corrette e naturali; metodologie e materiali rispettosi delle opere d’arte e dell’ambiente.
  • Sicurezza in ambito di processi artisti moderni con particolare attenzione alla street art ed alle decorazioni murali.
  • Il gioco come fonte di accrescimento dei bambini e degli adulti. Imparare l’arte, la storia, le tradizioni, le tecniche artistiche , la sensibilità alla conservazione diventano facili se insegnate giocando.
  • Nuove opere pittoriche in un connubio di antichi saperi e nuove pratiche artistiche , si uniscono per far tornare i colori e l’arte sulle nostre città.
  • Prodotti ed oggetti naturali , che eticamente nascono per distinguersi con il logo Tarvisium Gioiosa.
  • Giornate dedicate a Tarvisium Gioiosa ed il patrimonio culturale.
    Questi sono i principali temi ed argomenti a cui ci stiamo dedicando , selezionando le imprese ed associazioni con cui collaborare per portare a buon fine i progetti.

Leggi tutto qui

Arsenale aperto alla città – 25-26-27 aprile 2014

Clicca sull’immagine per vederla in alta risoluzioneArsenale Aperto 2014

Vedi/scarica il programma dettagliato in PDF

Dell’Arsenale di Venezia si sa poco. Fatta eccezione per chi lo studia e per chi fa parte delle associazioni che stanno facendo pressioni sempre maggiori restituirlo alla città, tutti gli altri ne sanno poco o nulla. Questo avviene per il banale motivo che l’Arsenale è semi-inaccessibile e chiuso a tutti per la maggior parte dell’anno. Stiamo parlando di un’area di circa circa 478.000 mq, più grande i Pompei o del Vaticano, che appare nelle geografia mentale – anche di molti veneziani – come “terra incognita”.

Queste tre giornate saranno di festa ma saranno anche una sorta di prova generale di apertura e riappropriazione collettiva di uno dei luoghi più significativi di Venezia

Il Forum Futuro Arsenale è la più estesa comunità patrimoniale veneziana. Riunisce circa 40 associazioni cittadine e ha avviato da tempo un dialogo sempre più pressante con il Comune di Venezia allo scopo di evitare ogni tipo di progettualità imposta a scatola chiusa e sta sperimentando attivamente forme innovative do co-progettazione e co-gestione degli spazi urbani.
https://www.facebook.com/groups/futuroarsenale/

Patrimonio intangibile e comunità patrimoniali

di: Adriano De Vita

La Convezione di Faro introduce molte novità in tema di valorizzazione del patrimonio, in particolare aprono molte prospettive i concetti di “patrimonio intangibile” e “comunità patrimoniali”. L’intangibile si riferisce al significato degli oggetti. Le cose in quanto tali sono del tutto prive di significato perché i significati vengono sempre attribuiti dalle persone.

Un mattone, ad esempio, assume significati diversi a seconda delle persone che lo considerano: per un muratore è materiale di costruzione, per un chimico è argilla cotta in forno, per un ladro è un mezzo per rompere una vetrina, per un archeologo può essere una testimonianza, ecc. La differenza tra un “mucchio di pietre” e “una cattedrale” è stabilità dalle persone, non è una proprietà dell’oggetto.

Una comunità può quindi essere intesa intesa come insieme di persone che attribuiscono gli stessi significati agli stessi oggetti o avvenimenti. Le comunità sono sempre comunità di “interpretanti”, cioè di produttori di significati.

Non si tratta di comunità forti come sono invece, per esempio, i monasteri, le sette, i clan, le comunità identitarie basate sull’affinità di sangue o sull’idea di patria-terra-madre. Nella società contemporanea, basata sull’individualismo e sulla tecnologia, comunità forti di questo tipo quasi non esistono più ed è un bene perché esse comportano perdita di identità e di responsabilità individuale a favore di quella collettiva. Nelle comunità forti l’obbedienza e il conformismo interno al gruppo prevalgono sull’etica, l’individuo non si considera più pienamente responsabile delle sue azioni, e questo è spesso alla base di di atteggiamenti razzisti, di intolleranza e violenza verso i non-membri del gruppo dei “noi”.

Le comunità patrimoniali sono invece comunità “deboli” , completamente integrate e partecipi della vita sociale più ampio di un paese, i cui membri si riconoscono sulla base di interessi e priorità comuni legate all’interesse per la propria storia, per i luoghi e le opera che la testimoniano, per il valore attributo alla cultura per la qualità della vita. Si tratta anche di comunità che attribuiscono grande valore al dialogo sociale e costruiscono identità collettive attraverso di esso.

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Video realizzato in occasione del workshop: A due anni dal Seminario “Le culture dell’Europa, l’Europa della cultura”: punti fermi e rilanci”. A cura di: prof. Lauso Zagato Palazzo Malcanton Marcorà, Venezia, 2012