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Il Patrimonio dissonante – osservazioni e temi critici

Di: Silvia Chiodi

Intervento nel workshop DISSONANZE, aA cura dell’Associazione Faro Venezia
Tenutosi al Lido di Venezia il 4 dicembre 2023

L’articolo seguente è uno sviluppo di quanto esposto nel video.

Nella slide di apertura, accanto al sottotitolo “Osservazioni e temi critici” al patrimonio dissonante, ho volutamente posto un primo ed importante tema critico connesso alla distruzione di memorie non condivise: la creazione di un indice ideologico. Questo perché, come vedremo, il rischio c’è ed è molto forte e attuale.

Per introdurre il problema volevo soffermarmi sulla definizione di patrimonio dissonante. Il tema però è già stato affrontato da Lauso Zagato e da Giuseppe Maino a cui rinvio.

Ricordo solo che l’oggetto patrimoniale, in quanto oggetto, è di per sé neutro, non lo è in quanto patrimonio culturale. E’ il pensiero, l’idea, che si ha di quell’oggetto, la funzione di cui lo si ammanta etc. che può renderlo controverso per la comunità e/o per le persone o gruppi di persone ad essa estranea.

Faro Venezia ricorda, tra le altre cose, che tutti i vari casi di dissonanza si prestano molto bene ad essere occasioni di apprendimento del pensiero critico ed aperto. Attraverso la dissonanza è infatti possibile un’educazione al patrimonio per mezzo dell’adozione di un approccio critico, di dibattiti, di analisi che, in quanto tali, ci permettono, tra le altre cose, di capire perché un bene culturale viene o è stato percepito come controverso e al contempo di cercare di superare tale controversia.

Tutte le opere d’arte o meglio, tutto il patrimonio culturale – in quanto cultural – è di per sé potenzialmente controverso perché ha in sé la controversia insieme alla possibilità di non essere tale.

Poiché il patrimonio culturale in quanto portatore di valori, di simboli, di pensieri di ideologia, e di tanto altro ancora, non è neutrale le problematiche possono nascere anche da come lo presenti, come ne discuti e come ne parli.

Vorrei fare un esempio utilizzando una controversia che riguarda il discobolo Lancellotti. Reso all’Italia nel 1948, insieme ad altre opere illegalmente portate in Germania, ne è stata recentemente rivendicata la restituzione. La pretesa ha origine da una lettera in cui, da parte italiana, si richiedeva la base di marmo su cui poggiava la scultura. Richiesta a cui la Germania ha risposto richiedendo la restituzione dell’opera in quanto non trafugata ma venduta ad Hitler per volere di Mussolini (seppur vincolata dal 1909).

Ma perché ve ne parlo in questo contesto? In una mostra dal titolo Arte liberata. Capolavori salvati dalla guerra 1937-1947, allestita a Roma presso le Scuderie del Quirinale dal 16 dicembre 2022 al 10 aprile 2023, nella sezione Le esportazioni forzate e il mercato dell’arte troviamo il discobolo in questione.

Se il nostro sguardo si fermasse alla sola osservazione dell’opera d’arte contempleremmo la copia romana del celebre bronzo di Mirone e ne ammireremmo la bellezza e le forma. Ma se il nostro occhio superasse, come l’allestimento chiede, la statua, la stessa acquisirebbe di colpo un valore ed un significato profondamente diverso diventando potenzialmente controverso travalicando la prima potenziale domanda: a chi appartiene questa statua? Ponendone una seconda e più problematica: qual è il rapporto, se ve ne è, della statua con il nazismo e la sua ideologia? La risposta, a seconda del pensiero di chi la pone e risponde, cambia e può potenzialmente attribuire un carattere più o meno dissonante alla statua e provocare reazioni più o meno furiose.

Non mi soffermo su architettura e patrimonio dissonante e se Cadorna e Cialdini siano o meno stati criminali di guerra, ma sulla figura di Cristoforo Colombo e sulla diatriba che oggi lo riguarda: scopritore o colonialista?

Mente stavo preparando la lezione per l’Università, due opere, generalmente considerati miti, ma che tali non sono, scritti in sumerico e datati alla fine del III millennio a.C. (o sarebbe più inclusivo dire a.e.v = avanti l’era volgare) hanno attirato la mia attenzione proprio in merito alle questioni di cui sopra.

Ambedue le opere, intitolate dagli studiosi contemporanei: “Enki e il nuovo ordine del mondo” e “Enmerkar e il signore di Aratta”, non solo menzionano la presenza di colonie sumeriche che tentano, senza riuscirci, una ribellione (Aratta) o vengono “visitate” dal dio Enki durante una sua opera riformatrice “dell’ordine del mondo” e a cui il dio dispensa la sua benedizione o parole minacciose, elogiando le realizzazioni già ottenute. Colonie di cui conosciamo l’esistenza già dal periodo di Uruk (seconda metà del iv millennio a.C. ca) e nei cui testi in questione viene religiosamente giustificata l’esistenza e la funzione.

Documenti che, proprio sulla base di quest’ultima affermazione, dovrebbero essere condannati, distrutti, dimenticati.

Ma se così facessimo o se così fosse avvenuto noi avremmo perso due importanti documenti letterari ed al contempo a loro modo storici e fonti importanti per lo studio del colonialismo nell’antichità e che attestano che l’occupazione di territori oltre i confini nazionali non è caratteristica esclusiva del solo mondo occidentale, ma appartiene a molte culture e civiltà. Secondo alcuni studiosi, ad esempio, “l’espansione delle società di Uruk ha qualche somiglianza con l’espansione coloniale delle società europee nelle aree meno sviluppate del Terzo Mondo. Il fenomeno Uruk può essere caratterizzato come un primo esempio di un “impero informale” o “sistema mondiale” basato sullo scambio asimmetrico e su una divisione internazionale del lavoro organizzata gerarchicamente.”

Come tale, il fenomeno evidenzia l’importanza del dibattito e della discussione, oltre che di uno studio scientifico del tema, ed al contempo la necessità di una potenziale condanna dell’idea – in questo caso del colonialismo – che può svilupparsi in ogni cultura. In caso contrario, distruggendo ciò testimonia ciò che non ci aggrada, relegandolo alla sola cultura occidentale saremmo destinati ad una autodistruzione.

Problematiche simili le troviamo nella letteratura, nella mitologia, nei testi religiosi dove troviamo attestate idee e concezioni che oggi nessuno accetterebbe. Pensiamo, ad esempio al tema dello stupro. Un ratto famosissimo è quello di Europa per mano di Zeus. Violenza ricordata persino in una moneta europea (moneta di due euro greca) di cui però sembra che nessuno ne percepisca il valore negativo. Oltre a questo ricordiamo la pratica della schiavitù, il ruolo subalterno della donna, il problema dell’omosessualità e via dicendo.

L’importante è non distruggere ciò che la nostra sensibilità non accetta più, ma discuterne, discuterne e superare la problematica dandogli anche la giusta valenza storica e culturale. A tal uopo il bene culturale potrebbe essere utilizzato per favorire la formazione di un pensiero critico consapevoli che quel pensiero critico non è definitivo e potrebbe cambiare e svilupparsi nell’arco del tempo (e non solo in positivo).

Purtroppo non riesco a farvi vedere questo breve filmato– rimando perciò al link riportato nella slide – in cui tra le altre cose si menzionano le statue decapitate di Gudea, vissuto nel xxii secolo a.C. e che fu governatore della città di Lagash, con l’intento, secondo l’autore del filmato, di cancellarne la memoria storica.

Ora, al di là di Gudea, il senso della decapitazione, soprattutto delle statue che avevano ricevuto il cosiddetto rituale della apertura della bocca, era quello di “uccidere”, cancellandone la sua funzione. Quindi molto di più della cosidetta damnatio memoriae e della cancel cultur (se non quando applicata sulle tombe). In questi casi la statua non era considerata una semplice immagine o rappresentazione ma una duplicazione /sostituzione della persona di cui essa portava il nome. Essa era posta nel tempio, quando “il proprietario”, generalmente il sovrano, era ancora in vita con l’incarico di ricordare alla divinità cosa aveva fatto colui che rappresentava e chiedendo in cambio la vita; vita terrena e vita post-mortem. Per tale motivo, in teoria, la statua non poteva essere spostata dal luogo assegnatole anche con la morte del proprietario in quanto, attraverso la statua, il defunto continuava in qualche modo a vivere, ad essere presente in terra. Per questo l’iscrizione delle statue terminavano con delle maledizioni verso coloro che cancellavano il nome del proprietario, o la spostavano dal luogo in cui era stata posta e via dicendo. Certo non tutte le statue avevano subito il rito di apertura della bocca.

Dopodiché è chiaro che in una società multiculturale come la nostra si registra un surplus di sensibilità e di questo, per una serena convivenza, dobbiamo tenerne conto.

Il problema dei musei, soprattutto i grandi musei e non solo il British o il Louvre, sono stati per lo più impostati sulla base di una precisa filosofia della storia. L’idea infatti che sottende l’esposizione museale per lo più riflette le filosofie della storia e le ideologie del periodo.

Qual è stato il grande problema? Nasce dal fatto che se si continua ad esempio a esporre le opere d’arte secondo una visione storicistica di impianto Hegeliano o anche evoluzionista, non tenendo conto delle scoperte culturali e scientifiche avvenute nel frattempo che hanno cambiato dei presupposti teorici, significa che non solo si rischia di incorrere in un errore espositivo, ma anche offendere e calpestare la sensibilità di diverse persone e popoli. Se io ad esempio colloco l’arte sumerica vicino all’arte delle popolazioni oggi chiamate illetterate, ma allora “primitiva”, sto ponendo queste ultime, come gran parte anche del mondo africano, fuori da quella che chiamiamo storia, ma nella protostoria e / o preistoria con una precisa e parallela scala di valori culturali (i Sumeri, gli Egiziani e gli Assiri – Babilonesi ad esempio vengono collocati culturalmente prima dei Greci).

Se questo, sulle base delle conoscenze dell’800, poteva essere sostenuto, oggi le popolazioni illetterate vengono considerate contemporanee non più residui di una fantomatica preistoria e all’inizio della scala culturale.

ho fatto solo questo piccolo esempio e sono stata velocissima e forse anche troppo ma volevo proporvi delle provocazioni “riflessive”. Non solo di questi aspetti vorrei porre in evidenza non tanto il lato negativo e di protesta, ma quello positivo di crescita di consapevolezza e di rispetto. In caso contrario vi è il rischio distruttivo e di parallela creazione di un indice.

I più anziani fra noi si ricordano cos’era un indice culturale della chiesa cattolica e cosa ha significato questo per gli artisti, filosofi, musicisti, letterati, ma anche per i potenziali lettori.

Quindi attenzione al moralismo estremo. Usiamo il bene culturale per un dialogo, usiamolo il più possibile per conoscerci meglio, pensando che il mondo non è fatto di Buoni e Cattivi ma di tantissimi troppi grigi. Grazie.

WORKSHOP “DISSONANZE”

Il 4 dicembre 2023 Faro Venezia ha realizzato questo workshop sull’idea e le esperienze connessa al concetto patrimonio dissonate o controverso. Si tratta di un tema centrale nella Convenzione di Faro, che si sta rivelando come uno dei più ricchi di implicazioni e sviluppi.

E’ stato fatto anche uno sforzo non indifferente per documentare gli interventi (in parte a distanza) per poterli poi divulgare più facilmente.

Coordinatore scientifico: Lauso Zagato
Organizzazione e video: Adriano Devita

Sentiti libero di utilizzare i materiali seguenti con la licenza Creative Commons seguente (come per tutte le cose pubblicate in questo sito):

Attribuzione – Non commerciale – CC BY-NC

Playlist completa sui Youtube

Links diretti ai singoli video

Adriano Devita: interi, integri, integralisti. Alle origini della violenza.
https://youtu.be/GB6tlDYKsgo?si=kBjW97iXRMjGfqoQ
Il patrimonio come fattore di salute mentale.

Lauso Zagato: il patrimonio culturale tra dissonanza e divisività
https://www.youtube.com/watch?v=L6m3-Kl1ryk
Le differenze tra dissonanza diacronica, sincronica e di potere.
Ampia carrellata di casi importanti che illustrano le differenze tra i diversi tipi di dissonanze.

Giuseppe Maino e Donatella Biagi Maino: elogio della dissonanza cognitiva
https://youtu.be/5F7qAgpA6Bg?si=P6khSADm8hEKr74_
Riflessioni che partono dalla teoria della dissonanza cognitiva che lo psicologo americano Leonard Festinger elaborò a partire dagli anni ’50.

Paola Cosma – Decolonize Your EyesPadova
https://youtu.be/SAj2X9_unbM
Padova, come tante altre città del nostro paese, ha molti riferimenti alle colonie italiane nell’odonomastica e nell’architettura. Non sono solo gruppi “dal basso” a cercare di ri-significare questi luoghi, ma a volte anche le istituzioni

Silvia Chiodi: patrimonio dissonante – osservazioni e temi critici
https://youtu.be/rd5J0nfpLbQ?si=8oP3ovQQd14rdpmr
La possibilità di dare interpretazioni diverse di uno stesso oggetto patrimoniale senza che questo generi censure o conflitti violenti è ciò che distingue una democrazia da una dittatura e ha un forte valore educativo.

I relatori

Adriano Devita, psicologo e antropologo. Si è occupato principalmente di programmi e progetti pilota di formazione di gestione della conoscenza per il sistema delle PMI e di politiche attive del lavoro. In campo culturale è socio fondatore di Faro Venezia, del Faro Lab, del Forum Futuro Arsenale e di altre comunità patrimoniali. E’ fondatore e direttore del Venice Intercutural Film Festival, che si occupa di dialogo interculturale. Il suo interesse principale ora riguarda i sistemi di democrazia partecipativa in campo culturale.

Lauso Zagato, già professore di diritto internazionale e UE, e direttore del centro studi sui diritti umani (CESTUDIR) Università Ca’ Foscari-Venezia. Nei due ultimi decenni si è occupato in particolare di protezione del patrimonio culturale nei conflitti armati e di salvaguardia del patrimonio culturale intangibile. Attualmente è membro di Faro Venezia e coordina il gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.).

Giuseppe Maino, fisico teorico, è autore di oltre 450 pubblicazioni scientifiche e quattro libri su argomenti di fisica nucleare e della materia condensata, di matematica applicata, di diagnostica non distruttiva applicata alle opere d’arte. Ho ideato e diretto progetti di ricerca nazionali ed europei, organizzato 39 convegni internazionali ed insegnato presso università italiane e straniere, oltre ad essere stato direttore di ricerca dell’ENEA, ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente.

Donatella Biagi Maino è professore associato di storia e teoria del restauro presso l’Università di Bologna. E’ autrice di monografie e saggi sulla pittura italiana del Seicento e Settecento; si occupa di conservazione e salvaguardia dei beni culturali a rischio e su questi temi ha coordinato progetti di ricerca e organizzato convegni internazionali di studi, oltre a condirigere la collana di volumi di Storia e Teoria del Restauro presso l’editrice EDIFIR di Firenze.

Paola Cosma è una ricercatrice, attivista e regista indipendente. Si è laureata in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale con una tesi Figure femminili nel cinema delle banlieues presso l’Università di Padova. E’ attivista nell’ASD Quadrato Meticcio e Decolonize Your Eyes. Conduce il doposcuola di quartiere presso l’Asd, organizza eventi e attività sociali e realizza prodotti audiovisivi, utilizzandoli come strumento di relazioni sociali e ricerca sociale in particolare con minori e adolescenti.

Silvia Chiodi, è dirigente di ricerca all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee del CNR di Roma e docente a contratto di Arte e culture del Vicino Oriente antico per il Corso di Laurea in Teoria e storia delle arti e dell’immagine dell’Università Vita – salute del San Raffaele di Milano. A seguito delle personali esperienze in Iraq e in Libano (1993- 2006) si occupa, tra le altre cose, di protezione del patrimonio culturale durante i conflitti armati. Dal 2004 è stata insignita Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per motu proprio dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Partecipa al gruppo di ricerca su “Protezione del patrimonio e delle identità/differenze culturali in caso di conflitto o di altre emergenze” (operante sotto l’egida di Ve.Ri.Pa.)

D I S S O N A N Z E

Un incontro sul patrimonio dissonante.

Per patrimonio dissonante, o controverso, si intende un oggetto patrimoniale che può dare origine a interpretazioni conflittuali – o comunque in contrasto tra loro – da parte di gruppi socio-culturali diversi o dallo stesso gruppo che cambia idea nel corso del tempo.

Come esempi di patrimonio dissonante, si fa riferimento all’architettura (come la sede stessa di questo incontro) a monumenti, dipinti, oggetti etnoantropologici, ma anche il patrimonio culturale intangibile o personaggi storici come Cadorna, Cialdini (eroi o criminali di guerra? Cristoforo Colombo (scopritore o colonialista?)

  • La dissonanza può essere sincronica, diacronica o di potere:
  • É sincronica quando si manifesta nello stesso momento tra gruppi diversi.
  • É diacronica quando lo stesso gruppo cambia idea nei confronti di uno stesso oggetto patrimoniale.
  • É di potere quando si ha discordanza su chi ha il diritto di includere o escludere qualcosa da una lista di oggetti patrimoniali, oppure – in senso più radicale – quando il contrasto riguarda il diritto di decidere se una cosa è «patrimonio» oppure no.

Per chi si collega in remoto il link su Googel Meet è questo:
https://meet.google.com/dmj-iojc-zko

Lo sguardo dell’artista sul patrimonio controverso

Che le passeggiate patrimoniali (e attvità simili) siano molto popolari è un fatto positivo. Che il 90% dei temi posti dalla Convezione di Faro siano quasi completamente ignorati dalle autorità e anche dalle Comunità Patrimoniali è un altro fatto, ma meno positivo. Uno di questi temi riguarda il patrimonio controverso o”dissonante” (FAQ 1.12 Faro Venezia). Il patrimonio dissonante è una cosa buona da pensare, come direbbe Levi-Strauss. Sorge inevitabile il dubbio che si eviti di discuterne proprio per questo motivo.

Poi però succede che il tema che esca fuori, all’improvviso, in luoghi e forme inaspettate, come i fiumi carsici e le risorgive. La prima di queste emersioni che vi segnalo è il breve video diffuso da poco dal canale arte.tv che introduce bene l’argomento e mette fuoco il ruolo dei musei come custodi del dissonante. Già questo rinnova non poco l’idea corrente di “museo”.

Ma una novità ancora maggiore ci arriva – pochi giorni dopo – dal lavoro di una giovane artista. Per quanto ne so la peruviana Daniela Ortiz è la prima ad affrontare la questione del patrimonio dissonante prendendola di petto e scardinando alla base l’alternativa del diavolo tra “lasciamo tutto com’è e “buttiamo giù tutto”.

Cittadella di Spandau – mostra “Enthüllt – Rivelato”

«Vogliono mantenere viva la narrazione colonialista, la conservazione del patrimonio è solo una scusa». «Volevamo smettere di considerare Roma una città con un passato talmente potente da sovrastarci e immobilizzarci, desideriamo mettere l’eredità in dialogo con l’arte contemporanea (…) perché la nostra riflessione è legata alla permanenza di quei simboli egemoni risalenti all’Impero romano e all’epoca fascista, crediamo che la questione del colonialismo italiano non sia stata affrontata adeguatamente»

“Ho cominciato più di dieci anni fa, quando ho notato la presenza di un indigeno inginocchiato alla base del monumento a Cristoforo Colombo a Barcellona. Mi ha colpito la sua rappresentazione così paternalistica e ho deciso di girare un video durante il 12 ottobre, la festa nazionale spagnola che commemora il giorno della scoperta dell’America – una celebrazione che peraltro non è stata istituita da Franco ma dal partito socialista negli anni ’80″

Il pensiero-azione, tipico delle performance artistiche, ci mostra come i modelli di pensiero che hanno dato origine ai beni controversi sono evolutivi e non statici. Il non-pensiero degli approcci ideologici è molto rigido e non tollera alcuna evoluzione. E’ proprio per superare questa rigidità, che genera violenza, che il patrimonio dissonante ci torna utile. Però si rischiano ritorsioni violente, anche in paese apparentemente democratici.

“Dopodiché ho cominciato a ricevere molte minacce sui social, come avviene a tutte le militanti anticolonialiste e antirazziste. La situazione è diventata più pesante quando ho scoperto che uno di questi gruppi mi stava monitorando ed era a conoscenza di numerosi dettagli della mia vita privata (…) ho capito che era troppo pericoloso restare. Così sono tornata in Perù.”

Le citazioni di Daniela Ortiz sono tratte da:
Daniela Ortiz, il conflitto mai sopito nascosto dietro i monumenti
Intervista. L’artista peruviana a Roma racconta la sua performance
https://ilmanifesto.it/daniela-ortiz-il-conflitto-mai-sopito-nascosto-dietro-i-monumenti/

Intervista video su LOCALES:
https://www.localesproject.org/agire-lo-spazio-pubblico-pratiche-artistiche-decoloniali/

FAQ 2.2 – In che modo deve e puo’ essere garantito il riconoscimento del diritto al patrimonio culturale?

Un discorso particolare va fatto piuttosto in relazione al diritto al patrimonio culturale. Se infatti l’art. 5 c) dichiara che le Parti si impegnano (“undertake to”) ad assicurare che nel contesto specifico di ciascuna Parte esistano disposizioni legislative per l’esercizio del diritto al patrimonio culturale come definito nell’art. 4, quest’ultimo fa ricorso al termine “riconoscono” (inglese recognize, francese reconnaissent): ovvero gli Stati parte riconoscono che chiunque, da solo o collettivamente “ha la responsabilità di rispettare il patrimonio culturale di altri tanto quanto il proprio patrimonio e, di conseguenza, il patrimonio comune dell’Europa” (lett b). In inglese: “alone or collectively, has the responsibility to respect the cultural heritage of others as much as their own heritage, and consequently the common heritage of Europe”.

Ancora, l’esercizio del diritto al PC (lett. C) “può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico, degli altrui diritti e libertà” (in inglese: (“may be subject only to those restrictions which are necessary in a democratic society for the protection of the public interest and the rights and freedoms of others”). Del resto, già, il considerando 4 del preambolo afferma che gli Stati parte “recognizing that every person has a right to engage with the cultural heritage of their choice” come un aspetto del diritto di partecipare alla vita culturale sancito, oltre che dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dal Patto sui diritti civili e politici del 1966 (art. 15), etc.

Ciò naturalmente nel rispetto degli altrui diritti.
Ove noi riflettiamo che la Convenzione europea dei diritti umani del 1950 utilizza la stessa espressione in francese (reconnaissent) ed in italiano (riconoscono) (in inglese “shall secure”), e che tale espressione prevalse sulla proposta iniziale di scrivere “undertake to secure”, “s’engagent à reconnaitre”, la conseguenza da trarne, seguendo qualificata dottrina, è che tale sostituzione di espressione “è prova della volontà degli Stati parti di assumere, in virtù della stessa partecipazione alla Convenzione (e della sua esecuzione nel proprio ordinamento) l’obbligo immediato di rispettare tutti i diritti ivi contemplati” (Villani 2008).

Lo stesso ragionamento vale per il diritto al PC di cui alla Convenzione di Faro:

gli Stati non operano per riconoscere, non si impegnano a riconoscere, ma riconoscono senz’altro, in virtù della loro partecipazione alla Convenzione, l’esistenza (già data quindi al momento della ratifica, e riconducibile all’art. 15 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali) di un diritto al patrimonio culturale.

Ciò non può essere privo di conseguenze: il diritto di riconoscersi in un patrimonio di propria scelta appartiene ai singoli come alle comunità, e lo Stato parte alla Convenzione è chiamato a darne applicazione nel proprio ordinamento.

Licenza d’uso Creative Commons Italia
Attribuzione – Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC BY-ND 4.
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Testo da citare:
Testo redatto a cura dell’ Associazione Faro Venezia
https://farovenezia.org/faro_faq/

Festa di Faro

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intestazione locandina completa

In occasione del convegno sulla Convenzione di Faro e comunità patrimoniali che si terrà il 9 aprile a Ca’ Foscari e della Passeggiata Patrimoniale che si terrà l’8 aprile a Murano, l’Associazione Faro Venezia invita cittadini, associazioni, istituzioni alla prima “Festa Faro”. Una serata insieme per condividere Creatività e Saperi che sono parte del Patrimonio Culturale di Venezia.

Per partecipare chiediamo, gentilmente, di prenotare inviando un’email all’organizzatrice: Patrizia Vachino, mozuela18@gmail.com

Programma

Città d’Acqua
canti tradizionali, parole dette della Venezia Lagunare,
di e con Sandra Mangini

L’Acqua conserva memoria di ciò che le accade.
Se Venezia è ancora lì, un prodigio vivente davanti agli occhi meravigliati del mondo, è grazie al rapporto che i suoi abitanti hanno saputo costruire nel tempo con l’Acqua.
L’esistenza stessa della Laguna, frutto di questo rapporto delicato e attento, talvolta spietato ma nello stesso tempo generoso e vitale, testimonia l’intelligenza, l’abilità, la capacità delle persone di misurarsi con l’ambiente in cui vivono, nell’interesse reciproco – della Città e dell’Acqua, come in un binomio inscindibile – vincolati da un patto paritario e leale. Un rapporto in continua definizione, fluido, come la laguna stessa: né mare, né fiume, terra e acqua nello stesso tempo, regno naturale particolarissimo. E, ancora una volta, regno di una comunità umana sapiente, forte e amante della vita. Questo racconto è tratto dalle parole di Olimpia e Alba Turchetto e dell’amica Elda, raccolte da Cristina Bettin per la ricerca “Venezia, la memoria dell’Acqua” a cura della Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino di Venezia.

I balli di Gaetano Grossatesta

Ensemble della Scuola di Musica Antica di Venezia
Elena Ajani, Ilaria Sainato, danza
Serena Mancuso, violoncello barocco, Marco Rosa Salva, flauti dolci

La Biblioteca del Museo Correr di Venezia conserva un prezioso piccolo manoscritto contenente la partitura coreografica dei Balletti in occasione delle felicissime nozze di S. E. Loredana Duodo con S. E. Antonio Grimani, avvenute a Venezia nel 1726. È una importantissima, perché quasi unica, testimonianza delle danze in uso a Venezia nella prima metà del Settecento. Gaetano Grossatesta nacque a Modena attorno al 1700, fu ballerino, coreografo ed impresario nei più importanti teatri italiani dell’epoca. A Venezia, dal 1720, fu inventore e direttore dei balli nel teatro Grimani di San Samuele.

El ziogo de le perle de vero
Le Storie de Teresa
Valentina Confuorto, autrice e musicista
Lucia Santini ,attrice

Teresa è una muranese dal temperamento umorale, un’artigiana del vetro appassionata di storie di donne. Non si farà pregare per raccontare di Ermonia Vivarini, creatrice di immaginifiche navi di vetro soffiato, o di Marietta Barovier, geniale inventrice della perla”rosetta”

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Il nemico interno

Mi è arrivata da poco questa promozione da Booking.com.

venezia vegas

L’invito è diretto ad un ipotetico viaggiatore che non sa bene dove andare ed è incerto tra Venezia e Las Vegas. Evidentemente nell’immaginario del turismo di massa le due città sono più o meno la stessa cosa. Se ne facciano una ragione tutti coloro che pensano che si possa combattere il turismo di massa – e i danni che provoca – incentivando quello di qualità. Forse vent’anni fa si sarebbe potuto, ma non oggi.

Venezia è un fatto di esperienza diretta. Chi non ci vive non ha questa esperienza e non si rende conto neppure delle cose più ovvie; per esempio del fatto che si vive sull’acqua.

Così capita che l’autista del furgone del corriere telefoni chiedendo come si fa ad arrivare alla Giudecca e dove parcheggiare. Capita che gli ispettori delle poste vogliano negare l’autorizzazione ad operare per un nuovo ufficio perché non ha il garage per i motorini. Capita che i visitatori pensino che l’acqua alta sia una cosa divertente o che chiedano come si fa ad attraversare il “fiume” Canal Grande o che ammirino la vista sul “mare” che si gode a Piazza San Marco.

Non si tratta di banali ingenuità. Sono invece in azione potenti modelli culturali, cioè idee e atteggiamenti inconsapevoli, ma molto radicati,. Non modificabili facilmente; quasi quanto un codice genetico.

Così quando si parla di “valorizzare” Venezia (o un altro bene culturale qualsiasi) il significato di questa parole può essere opposto a seconda ci chi lo usa e senza che nessuno se ne accorga.

Capita anche che la stessa persona, animata dalla migliori intenzioni di valorizzazione della città nel rispetto della sua storia e modalità specifiche di qualità della vita, poi si lanci a proporre progetti che la trasformerebbero appunto in Las Vegas. Senza accorgersene.

Patrimonio intangibile e comunità patrimoniali

di: Adriano De Vita

La Convezione di Faro introduce molte novità in tema di valorizzazione del patrimonio, in particolare aprono molte prospettive i concetti di “patrimonio intangibile” e “comunità patrimoniali”. L’intangibile si riferisce al significato degli oggetti. Le cose in quanto tali sono del tutto prive di significato perché i significati vengono sempre attribuiti dalle persone.

Un mattone, ad esempio, assume significati diversi a seconda delle persone che lo considerano: per un muratore è materiale di costruzione, per un chimico è argilla cotta in forno, per un ladro è un mezzo per rompere una vetrina, per un archeologo può essere una testimonianza, ecc. La differenza tra un “mucchio di pietre” e “una cattedrale” è stabilità dalle persone, non è una proprietà dell’oggetto.

Una comunità può quindi essere intesa intesa come insieme di persone che attribuiscono gli stessi significati agli stessi oggetti o avvenimenti. Le comunità sono sempre comunità di “interpretanti”, cioè di produttori di significati.

Non si tratta di comunità forti come sono invece, per esempio, i monasteri, le sette, i clan, le comunità identitarie basate sull’affinità di sangue o sull’idea di patria-terra-madre. Nella società contemporanea, basata sull’individualismo e sulla tecnologia, comunità forti di questo tipo quasi non esistono più ed è un bene perché esse comportano perdita di identità e di responsabilità individuale a favore di quella collettiva. Nelle comunità forti l’obbedienza e il conformismo interno al gruppo prevalgono sull’etica, l’individuo non si considera più pienamente responsabile delle sue azioni, e questo è spesso alla base di di atteggiamenti razzisti, di intolleranza e violenza verso i non-membri del gruppo dei “noi”.

Le comunità patrimoniali sono invece comunità “deboli” , completamente integrate e partecipi della vita sociale più ampio di un paese, i cui membri si riconoscono sulla base di interessi e priorità comuni legate all’interesse per la propria storia, per i luoghi e le opera che la testimoniano, per il valore attributo alla cultura per la qualità della vita. Si tratta anche di comunità che attribuiscono grande valore al dialogo sociale e costruiscono identità collettive attraverso di esso.

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Video realizzato in occasione del workshop: A due anni dal Seminario “Le culture dell’Europa, l’Europa della cultura”: punti fermi e rilanci”. A cura di: prof. Lauso Zagato Palazzo Malcanton Marcorà, Venezia, 2012